L’intervista a Ingrid Mambrini ha una storia dietro, una storia di casualità e di tentativi. L’ho “conosciuta” su internet dopo aver guardato la sua galleria che avevo trovato tra i “suggeriti”: credo che il bello dei social sia il fatto che riescono ad aggregare ed avvicinare le persone in base agli interessi. Apprezzo molto il suo modo di fare foto, il suo approccio diretto alla realtà… ma lei mi ha detto di non essere pratica di interviste… e neanch’io, quindi vediamo cosa esce.

(iniziamo con un grande classico)

Chi è Ingrid? Perchè “ovosodo”, questo meraviglioso nick di Virzì-ana memoria?

Ingrid ha 26 anni e tiene sempre gli occhi spalancati su ciò che la circonda… mi viene istintivo fotografare piccoli momenti normali. Il mio intento è quello di riuscire a comunicare un senso di nostalgia e pacatezza tramite i miei scatti, e cerco di farlo ad esempio scegliendo di utilizzare colori non troppo saturi, come se sulla foto si depositasse un velo di malumore. Per mettere in chiaro le mie idee già a partire dal nome, ne ho scelto uno che in una sola parola potesse racchiudere tutti questi stati d’animo: l'”ovosodo”, nel film di Virzì, è quell’abitudine alle cose quotidiane ed ordinarie, quel groppo in gola che non va né su né giù, ma che col tempo ha imparato a tenerti compagnia come un vecchio amico.

Nella tua biografia su Instagram si legge Canon / Iphone e che ti piacciono gli aperitivi e le cose che sanno di nostalgia… credo sia un buono spunto per chiederti: come nasce l’amore per la fotografia? Potrebbe essere la “nostalgia” un indizio per capire i tuoi scatti?

L’amore per la fotografia è cresciuto gradualmente, forse mi è capitato di scattare qualche foto che mi è piaciuta più delle altre, e da lì sono andata avanti in quella direzione. È come se ad un certo punto si fosse acceso in me, come una scintilla, il bisogno di fotografare. A mano a mano che sopperivo a questa esigenza, la scintilla si è fatta incendio.

Un’altra cosa che ho scritto nel mio profilo è che sono di Milano. L’ho specificato perché tante delle foto che ho caricato su Instagram sono state scattate in questa città, in cui sto da sempre e in cui ho mille ricordi e mille motivi per non sopportarla, ma è in assoluto il mio posto preferito in cui scattare fotografie. È un teatro a cielo aperto, in 10 minuti si passa dal lusso di via Brera alla multiculturalità di via Padova, ed è magnifico, per una curiosa con una macchina fotografica, avere a disposizione così tante scenografie.

Ecco, prima parlavo del “velo di malumore” sui miei scatti… mi influenza tanto anche il fatto che quando sto per troppo tempo in questa città, sento inevitabilmente la mancanza di altri posti, e idealmente dipingo Milano con una palette cromatica non troppo calda, ma piuttosto tendente a colori freddi ed insaturi come la malinconia.

Nel tuo canale Instagram racconti una quotidianità fatta di luoghi ma anche di persone e gesti. Quello che mi sembra di leggere è un voler raccontare la normalità senza sensazionalismi. C’è molta attenzione alla scelta dei soggetti ed all’immediatezza, sia che si tratti di un’ombra, di un posto o di una persona “pizzicata” per strada. Quanto conta per te il soggetto e quanto la tecnica dietro lo scatto? Come si compone una foto di Ingrid?

Leggi bene. Vorrei poter dire che la tecnica ha molta importanza nella realizzazione delle mie foto, ma non sempre è così perché il ruolo principale lo svolge il soggetto immortalato. Spesso, specialmente in città, scatto foto di fretta, all’improvviso, e non ho il tempo di curare i dettagli tecnici, ma d’istinto scelgo di valorizzare al massimo il soggetto ponendolo magari al centro della fotografia, dirimpetto a chi guarda.

Mi occupo un po’ di più dei tecnicismi quando fotografo dei panorami extraurbani, perché nulla si muove, rimane fermo lì e ho il tempo di ragionare sulle impostazioni della macchina fotografica e sulla composizione… ma non è il mio tipo di fotografia preferito.

Ecco, compongo le foto evitando di pensarci.

Di recente sei stata protagonista, insieme ad altri giovani fotografi, della issue di Perimetro con un bellissimo scatto fatto durante il lockdown; mi sembra di ricordare la tua frase il giorno in cui sei uscita “con il mollettone per sottolineare attraverso i capelli che non ce la facevi più”. Durante il lockdown ci sono stati mille progetti ed un sacco di approcci; per citare i due estremi, abbiamo visto gli oltranzisti della sfera domestica contro i ricercatori dello scatto alla città fantasma ed in mezzo un sacco di altri approcci. Il tuo mood quale è stato? Come hai affrontato la quarantena? In che modo ha influito sul tuo fotografare ed in che modo secondo te questi mesi di clausura influiranno sulla ripartenza?

Quella foto è stata scattata poco prima in realtà, sabato 20 febbraio, in un supermercato in centro a Milano, poco prima che le frontiere tra comuni e regioni si chiudessero. In quel periodo il clima qui era davvero cupo: chi si trovava per strada lo faceva solo per recarsi verso impegni improrogabili, le vie del centro erano semivuote ed in pochi guardavano le vetrine dei negozi. In quel supermercato il clima era insolito: se fuori Milano era vuota, lì stava partendo la caccia alle provviste (in quel periodo in particolar modo ricordo che la preoccupazione più grande era procurarsi casse di acqua in bottiglia).

È stato uno scatto fortunato, sì, non sapevo ancora che quel titolo di giornale avrebbe dato il via ad un inizio drammatico e avrebbe allo stesso tempo stigmatizzato una Nazione. Nei giorni successivi, sempre prima che il lockdown avesse inizio, ho fatto un salto in Piazza del Duomo di mattina molto presto… c’eravamo io, la mia macchina fotografica ed i piccioni. Di sicuro lo scenario era fotograficamente accattivante. Nel bel mezzo della quarantena, poi, ho invidiato non poco i fotografi professionisti che potevano aggirarsi per le città vuote. Li ringrazio perché attraverso le loro immagini ci hanno regalato dei ricordi pazzeschi.

Per ciò che riguarda me, invece, per quanto non vedessi l’ora di tornare a saltare liberamente tra un “confine” e l’altro, non ho sempre sprecato il tempo in casa. Ho partecipato ad alcuni progetti finiti bene, tipo appunto la issue Perimetro, che penso sia una delle raccolte fotografiche più interessanti che siano state partorite in questo periodo.

Come tanti, tra marzo e giugno, ho adattato le mie passioni al contesto, ed ho cercato di tenere un diario fotografico del lockdown. Come tutti i diari, è un racconto intimo, ma da poco l’ho stampato e magari un giorno lo condividerò anche con chi non ha partecipato alla mia quarantena.

Come influiranno questi mesi? Sta ad ognuno di noi deciderlo in base al significato che abbiamo dato al lockdown. Una delle poche cose che ho capito è che ho mille abitudini che posso tagliare, tantissimi bisogni superflui e che gli aperitivi li posso fare anche in soggiorno!

Social, stampe, qualsiasi altra cosa… in che modo preferisci far circolare le tue foto?

Essendo figlia di anni in cui i social network sono nati e hanno fatto il boom, il formato digitale è sicuramente quello che trovo più comodo ed immediato per far circolare le mie foto. Nonostante questo aspetto positivo, ammetto che vedere le proprie immagini stampate su carta, magari su riviste, è tutto un altro impatto emotivo! In particolar modo è bello ricevere dei feedback concreti, lontani anni luce da un like.

Per il prossimo periodo ho in progetto di stampare alcune mie fotografie ambientate a Milano, cercherò di farle circolare in un modo molto alla portata di tutti.

In Italia la fotografia indipendente non si è mai del tutto affermata e ogni scena si rinchiude nella sua nicchia. Secondo te esiste una “scena fotografica”? Se sì, ne fai parte? Secondo te essere una ragazza influisce in qualche modo sull’affermarsi nel mondo della fotografia?

In realtà penso alle mie foto ed ai miei progetti senza confrontarmi con nessuna scena, ma ci sono tantissime ragazze che seguo con interesse perché trovo che abbiano un’accuratezza invidiabile nel realizzare gli scatti. Purtroppo però, il sentimento che condivido con molte di loro è il fastidio nel constatare che molte volte noi donne non veniamo prese sul serio, o magari la nostra passione viene giudicata come un periodo passeggero o una moda (quale, poi?).

Da quando ho creato Ovosodo, ho deciso di evitare di esporre la mia faccia su Instagram per limitare al minimo i commenti fuori luogo perché voglio essere apprezzata o criticata unicamente per le mie capacità, non voglio pareri estetici.

Quanto tempo della tua giornata dedichi alla fotografia? Come nasce un tuo progetto fotografico? Hai qualche progetto a cui stai lavorando di recente?

Pensandoci, proprio un bel po’ di tempo! Ho delle giornate in cui scatto davvero tantissimo e poi passo il tempo libero a lavorare sull’editing. Spesso approfitto dei tanti viaggi in treno per provare a migliorare le fotografie tramite Lightroom o Snapseed. Fortunatamente anche al lavoro mi capita di dover scattare spesso delle foto, e ovviamente è una cosa che faccio volentieri.

Al momento ho adocchiato delle call a cui mi piacerebbe partecipare, vedremo se l’estate mi darà modo di concretizzare le mie idee.

(credo che l’intervista sia finita, spero sia stata molto soft e di non averti traumatizzata troppo)

Vorrei chiudere con un’ultima domanda: che progetti hai per il futuro, fotograficamente e non? C’è qualcosa che non ti ho chiesto e di cui vorresti parlare? Dove è possibile vedere i tuoi scatti?

Ti svelo i miei progetti fotografici: da quando il lockdown è finito, nel mio zaino c’è sempre una vecchia usa e getta con rullino scaduto nel 2002 con cui sto facendo qualche foto alla mia estate… e sono in trepidante attesa di vedere il risultato di questo esperimento. A settembre mi attiverò per far riparare la mia Polaroid, che ha avuto una vita brevissima, e anche la Voigtlander che ha accompagnato mio padre nei suoi viaggi da ragazzo… e ha alle spalle un’onorata carriera.

E poi ovviamente vorrei dedicarmi alla mia Canon, portarmela in giro per il deserto che piomberà su Milano ad agosto. Vorrei accumulare una buona dose di fotografie da stampare per un’idea che mi è venuta ultimamente e che accennavo prima, di cui per scaramanzia non svelo i dettagli.

I più curiosi troveranno tutto sul mio profilo Instagram… al portfolio vero invece, ci sto lavorando!

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