Sulla collina di Frascati ci arriva il treno: il primo a percorrerne il tragitto fu quello di fattura francese, sontuoso e raffinato, realizzato per papa Pio IX e visibile oggi alla Centrale Montemartini. Raggiunta l’alta stazione, si apre un paesaggio ricco di storia, oltre la scalinata. Un posto magico, che ho già potuto conoscere presso la sua accademia di latino.
Appoggiata sul terreno dell’antico Vulcano Laziale, Frascati fu luogo di ville antiche, romane e cinquecentesche; una seconda dimora per poeti, famiglie illustri e papi. Per esprimere l’incanto di questa scoperta, vorrei ricordare una notte sotto la pioggia, nella selva rigogliosa, dove ho goduto dell’incontro grottesco, fantascientifico, con un ranocchio gigante, una creatura quasi mitologica; e della rara vista di un insetto stecco, che il giorno seguente prendeva il sole immobile. Due visioni insolite, esclusive, che hanno contribuito a creare un’atmosfera fiabesca. Frascati è un luogo armonioso e selvaggio, elegante. Dall’alto sovrasta la campagna romana con un panorama aperto sull’orizzonte della grande città.
Qui, nelle splendide Ville Tuscolane progettate da celebri architetti ed affrescate da pittori di fama (Borromini, Maderno, Domenichino, Pietro da Cortona…), soggiornarono Lucullo, Cicerone e Galileo, quest’ultimo nelle sue riunioni con l’Accademia dei Lincei. E qui il Carnevale ha una sua tradizione autoctona e particolare, lunga cent’anni, ma con la presa in prestito di una maschera.
Il protagonista è Pulcinella. A febbraio il popolo frascatano, in una gran bolgia che circola su se stessa più e più volte, si traveste da Pulcinella. Tutti uguali, tutti con lo stesso costume di Carnevale. Pulcinella era in realtà, per i frascatani, un frate eremita predicatore che capitò in questi luoghi con abiti simili a quelli della maschera napoletana. Viene ricordato come un benefattore che, nonostante le sue opere, venne accusato di eresia e quindi condannato. Il 19 febbraio di un annononsisaquale, mi raccontano, dovette salire su una scala e lasciarsi cadere. Infine lo aspettò il rogo.
Questa figura, caratterizzata dall’evento tragico, viene ripresa non solo dal costume ma anche nel trucco dei frascatani, che, a memoria della leggenda, marchiano su una loro guancia il numero 19 e sull’altra, appunto, una scala.
Il gruppo dei pulcinella sale e scende, sale e scende ripetutamente tra Piazza Roma, dove lo sguardo si perde tra la bellezza dei Castelli Romani e la panoramica sulla città eterna, e piazza San Pietro, dove si staglia la verde cattedrale. In tutto sono solo 100 metri. Un Carnevale che pare semplice, ripetitivo, per i movimenti di andirivieni tutti uguali e la ripresa della medesima maschera da parte di tutti gli uomini, donne e bambini figuranti.
All’apertura della ricorrenza, il sindaco è l’artefice di un simbolico passaggio: con la consegna delle chiavi della città a Re Pupone, si perpetua l’usanza risalente alle origini del Carnevale che prevedeva, già in età moderna, la delega del potere da parte dei sovrani temporali e religiosi al popolo, di modo che questo li potesse liberamente canzonare senza incorrere in sanzioni durante il periodo prestabilito. Così facendo la società si sovvertiva e i matti, gli esclusi, le persone comuni prendevano le redini della situazione abbassando e declassando le élite. Veniva eletto tra loro un nuovo e fasullo re e si capovolgevano, così, le gerarchie sociali, beffandosi delle reali autorità (cosa che quest’anno, nonostante la necessità quantomeno simbolica di una simile pratica, non ci è concessa). Dopo il passaggio delle chiavi, si inaugurano dieci giorni di festa, che termineranno nella cremazione del Pulcinella in cartapesta nel dì del martedì grasso.
I frascatani travestiti, di anno in anno, fanno a gara; si sfidano da loro cercando di battere il record di presenze nei panni di Pulcinella. Alle spalle alberi secolari, giochi di fontane, l’antica silva, proprio quella che si studiava in latino.
Il gigante mascherone dell’imbriacone, tra i capoccioni, fa simpatia ai bambini, dall’alto delle sue allegre gote rosse. Ci ricorda che Frascati è la città del vino. La sfilata è un’attesa di ore nel sole pomeridiano, caldo e freddo allo stesso tempo, dove il pubblico segue l’andirivieni caleidoscopico su e giù per un’unica via, al suono della banda.
La banda improvvisamente raggiunge una scalinata in piazza Roma: lì ci si ferma, si suona, si sventolano a girandola i fazzoletti. Una foto d’insieme, uno scatto e via. Di nuovo davanti alla cattedrale. Lo sventolio, uno scatto e via. Andirivieni, andirivieni. Lo straniero che guarda, come me, si chiede se abbia ancora senso partecipare. Stiamo forse attendendo qualcosa?
All’imbrunire, tutti i pulcinella si radunano sulla salita accanto alla chiesa e qui l’atmosfera di attesa sembra arrivare al suo compimento. Sono ormai le 17, scende la sera e si accendono le fiaccole. La gente si raduna, un istante di raccoglimento e silenzio. Eccolo, arriva. Arriva il momento.
I pulcinella caricano sulle loro spalle il protagonista, il vero Pulcinella di cartapesta, e lo accompagnano nella processione funebre, per distruggerlo dopo aver lavorato lungo tempo alla sua creazione. Questo personaggio avanza sdraiato, sospeso tra le braccia dei suoi demiurghi, accompagnato da melodie funeste e preceduto da un carro funebre. Sì, un carro funebre vero, che porta ai finestrini i necrologi della maschera partenopea.
Ma l’elemento ironico, vitale, contraddittorio non manca. Durante il percorso, infatti, il suo grande membro (anch’esso mascherato) gioca con il pubblico: e sale e scende; così tromboni, clarinetti, tamburi di colpo suonano un motivo allegro.
Infine, nell’oscurità della sera, si spengono anche i colori dei palloncini, dei coriandoli, delle frittelle, del trucco dei bambini, e tutti gli occhi, ammirati, si concentrano sul grande falò. Che sale in cielo e ritorna colorato, rigenerato nei fuochi d’artificio. A portare la vita oltre la morte.