Erano circa le quattro, ero in ufficio. I computer smisero di rispondere.
Aspettammo qualche minuto, poi andammo nella stanza dove giaceva il tecnico informatico.
Lo so già, ho provato a riavviare i server ma ancora non funziona, voi provate a ravviare i computer“. Era la sua cura a tutto. Potevi anche dirgli che stava prendendo fuoco la postazione e ti avrebbe risposto sempre la stessa cosa. Ubbidimmo. Non cambiò niente. Riavviammo di nuovo.
Andiamo a prenderci un caffè?” chiesi a Marco, un ragazzo appena assunto.
Ma funziona la macchina del caffè senza internet?
Pensai che mi prendesse in giro ma capii che era serio. Non c’era molta differenza di età fra di noi, ma per certi versi era come se appartenessimo ad epoche storiche diverse. Lui era cresciuto in un mondo collegato ogni minuto, ovunque o quasi.
Io ero un reduce dell’ultima generazione di ragazzini che poterono permettersi il lusso di non essere raggiungibili. Ci telefonavamo al numero di casa presentandoci, se abitavamo vicini ci suonavamo il campanello, se si spariva per qualche avventura ammazza noia nessuno sapeva dove eravamo e se ci davamo appuntamento stavamo attenti a fissare precisamente.
Tornammo alle postazioni; tutto dormiva. Andammo dal tecnico.
Avete ravviato?” ci chiese con tono disperato.
Otto volte.
Deve esserci un problema” dedusse “per oggi non c’è niente da fare, ho chiamato l’assistenza ma non rispondono, tornate a casa e recuperate domani“.
Ubbidimmo.
Per la strada i passanti erano strani. Teste chinate che cliccavano sui cellulari compulsivamente, si scontravano fra di loro senza neanche farci caso, bofonchiavano, cercavano di esortare il telefono come si fa con un bambino dispettoso.
Muoviti.” “Ma che hai?” “Oh.” “Ora ti butto in terra“.
Arrivai a casa e neanche lì internet funzionava. Avevamo una vecchia televisione. Provai a accenderla. Mi ero dimenticato che serviva il decoder. Preparai la cena. La mia coinquilina Stefania si unì, poi arrivò anche il terzo abitante, Giorgio.
Iniziammo a mangiare con un vago imbarazzo. Poi abbozzammo un dialogo, lo sapevamo fare ma non avevamo mai provato. I ragazzi furono addirittura simpatici. Non era la prima volta che mangiavamo insieme, ma di solito ognuno si limitava a grugnire con il proprio telefono.
Finita la cena non sapevo cosa fare, riprovai a connettermi senza fortuna. Mi misi a leggere un libro, dapprima controvoglia, poi mi appassionai, ripresi conoscenza che erano passate due ore.
Mi affacciai alla finestra. Per le strade regnava uno strano silenzio, i pochissimi passanti proseguivano a testa bassa continuando a premere sul proprio schermo. Solo un vecchio che portava a giro il cane sembrava essere immune a quella follia di massa. Andai dormire. maxresdefault
Il mattino dopo in ufficio era la stessa storia. Niente internet, quindi niente di niente. Il fax, il telefono, le schede riguardanti i clienti, era tutto là dentro, imprigionato. Arrivò il capo ufficio:
“Andate via, recupererete le ore perse, pare non funzioni internet in tutta la nazione.”
Le strade brulicavano di persone che avevano tic simili.
Provavano a premere sullo schermo, poi di colpo alzavano la testa verso il cielo, guardavano storto l’aria, come se avessero perso qualcosa di visibile, rimettevano il telefono in tasca e pochi passi dopo lo rifacevano. Ci avevano tagliato la tela invisibile.
Andai dal dottore, in banca, a comprare un biglietto per la partita, tutti mi dissero di ripassare.
Presi un panino e mi avviai al parco. I bambini giocavano a pallone, gli adulti sulle panchine sembravano tranquilli; se ci facevi caso però notavi qualcosa, alcuni di loro fissavano davanti a sé, con l’espressione murata e lo sguardo vitreo.
Io che mi credevo quasi immune ero infastidito dall’assenza di notizie in tempo reale: abituato a nutrirmi di informazione in pillole mi dovevo accontentare di giornali che parlavano del giorno precedente e rabbrividivo temendo che scoppiasse la terza guerra mondiale senza che potessi saperlo per primo oppure mi intestardivo pensando al calciomercato del campionato cinese. Ogni tanto andavo in qualche bar a scroccare il telegiornale ma erano notizie comunque vecchie, raccontate troppo lentamente.
Tornai a casa e mi misi di nuovo a leggere, poi fissai il vuoto. Mi venivano a galla ricordi confusi. Mi affacciai alla finestra. La via era deserta, il silenzio quasi totale. Piccoli brusii, la luce dietro un vetro di uno schermo accesso, nessun passante, locali vuoti. Pochissime anche le vetture che parevano viaggiare speditamente.
Nessuno si fidava. Pensai che in certe occasioni dormire è sempre la cosa più seria da fare.look-up-at-the-skyAl risveglio provai subito a connettermi. Niente. Tutto era come congelato.
Andai a farmi un caffè. Con la testa fra le mani giaceva da chissà quanto tempo Giorgio.
Avevo conosciuto un angelo e mi aveva lasciato il suo contatto sabato scorso. Sarebbe diventata la madre dei miei figli. Ma come diavolo la trovo ora? –  aveva la voce rotta dal nervosismo e gli occhi fuori dalle orbite, per un attimo pensai che mi avrebbe aggredito. “Prima che torni la rete, ammesso che torni mi avrà già seppellito sotto una decina di altri corpi.
Dalla stanza di Stefania sentivo i segnali di una nuova tempesta: sospiri urlati e mobili sbatacchiati.
Dovevo comprare i biglietti per andare in Spagna, ogni giorno che passa aumentano, dovevo controllare la busta paga per vedere se ci hanno provato di nuovo, dovevo spiare il profilo di Giulio che non me la racconta giusta, dovevo andare a trovare mia nonna e non ricordo la strada, dovevo leggere le recensioni del ristorante in cui andrò sabato dovevo…”.  Ci teneva a sfogarsi con il mondo, in un modo o nell’altro.
Trovai l’ufficio chiuso e feci una passeggiata. Le strade erano piene di umanità.
Una strana agitazione permeava l’aria. Mi avvicinai a un capannello di uomini che sparavano ipotesi a caso.
Hanno tagliato i fili con le forbici chimiche” “è crollato per i troppi likes, pensavi potesse reggere all’infinito?” “E’ colpa di uno scudo invisibile.
Scappai da quella gara di complottismo.
Davanti a un bar due ragazzini si litigavano a causa del numero di coppe vinte da una squadra, poco più in là due donne discutevano su dove fosse il Belize.
C’è stato un tempo in cui chi aveva conoscenze approfondite su un qualsiasi argomento di interesse generale era in qualche modo stimato dalla propria cerchia. Ora con due clic tutti si sono abituati ad avere a disposizione un numero quasi infinito di informazioni. Il massimo della bravura popolare sta quindi nella curiosità.
Passai il resto della giornata a vagare dentro quell’energia cinetica. Molte persone avevano fatto acquisti.
Andai a cena in un pub. Era bello poter scambiare sguardi che avrebbero fissato schermi. Così la conobbi e tutto stava andando benissimo finché un rumore come di un fiume in piena ruppe la pace. Uscimmo e fummo travolti, la persi quasi subito.

La strada era una corrente di gente che scorreva senza andare da nessuna parte. Sentii tirarmi il braccio. Una sconosciuta mi voleva far vedere a tutti i costi le fotografie della sua vacanza per sapere cosa ne pensassi, due ragazzi mi chiesero se secondo me era più forte Messi o Cristiano Ronaldo e tenevano il conto delle risposte, un tizio mi corse incontro chiedendomi di firmare una petizione contro gli omogeneizzati dati in pasto ai maiali o per qualcosa di simile, un uomo voleva che leggessi a tutti i costi il suo rapporto su quanto stava succedendo…
La folla premeva su se stessa. Era una scena assurda. Non se la stava prendendo con un nemico, né protestava contro qualcuno. Voleva riavere il giocattolo che l’aveva assuefatta.
Stavo quasi per diventare violento quando qualcuno urlò:
ehi funziona! E’ ripartito, sono connesso!
Era l’ultima fedele vedetta. Il ragno ce l’aveva fatta, di nuovo. Fu un secchio d’acqua su quei nervi in fiamme. Pochi minuti e la folla di disperse e tutto tornò come era prima.  Tutto come prima

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