“Marriott era la prima scelta come cantante per i Black Sabbath.
Ho provato in ogni modo a convincerlo, ma aveva altri piani.
Era anche la prima scelta di Jimmy Page per i Led Zeppelin. Ci ha tentato in tutti i modi, come me.
Una volta ho parlato con Page di questo, di come sarebbe potuto essere.
Ozzy e Robert Plant sono stati entrambi grandi a modo loro,
ma Marriott è stato il più grande cantante di sempre.
Page e io la pensavamo uguale. Avremmo ucciso pur di averlo.”
(Toni Iommi)
(…segue e conclude la prima parte.)
Nei primi mesi del 1969, quando viene ufficializzata la sua uscita dagli Small Faces, Steve Marriott ha già reclutato i musicisti per il suo nuovo progetto: oltre a Peter Frampton, appena fuoriuscito dai The Herd, la line-up include Greg Ridley (ex bassista degli Spooky Tooth) e Jerry Shirley (17enne batterista proveniente dagli Apostolic Intervention). Essendo tutti musicisti provenienti da band di successo, la stampa affibbia loro l’etichetta di “supergruppo”, molto in voga in quegli anni. Marriott e soci non gradiscono, vorrebbero avviare il progetto senza troppo clamore. Si ritirano a provare al Beehive Cottage di Marriott (a Moreton, nell’Essex). Nel frattempo gli ex Small Faces si ribattezzano Faces e reclutano Ron Wood e Rod Stewart, provenienti dal Jeff Beck Group, rispettivamente come chitarrista e cantante.
Immersi nella tranquillità della provincia, Marriott e i suoi nuovi compagni producono una notevole mole di nuove canzoni: nei primi nove mesi di vita il gruppo ne registra circa trenta, che per buona parte non verranno pubblicate. La nuova band, il cui nome è Humble Pie, firma con la Immediate Records e in estate pubblica il suo primo lp: As Safe As Yesterday Is. Il disco è un riuscito miscuglio di attitudine blues, hard rock incandescente e deviazioni country, suonato da una band in ottima forma: approccio aggressivo, alternanza di momenti scanzonati e solenni, e la solita grinta smisurata di Marriott, che canta ogni singola nota come se fosse questione di vita o di morte. Questo album è il primo di sempre ad essere definito con l’appellativo heavy metal (in una recensione di Mike Saunders su Rolling Stone).Sempre nel ’69 gli Humble Pie iniziano la loro attività live; a novembre, mentre sono in tournée negli Stati Uniti, esce il secondo lp, Town And Country: meno furore, meno elettricità, un mood compassato e bucolico che riflette l’usanza del gruppo di aprire i concerti con un set acustico. Il disco è nel complesso meno incisivo del precedente e vende pochissimo. Per la Immediate, già fortemente indebitata, è il colpo di grazia: la casa discografica viene messa in liquidazione (con migliaia di sterline di royalties non pagate agli Small Faces) e Marriott e i suoi passano alla A&M. La label californiana si spende nella promozione sul mercato americano, permettendo agli Humble Pie di imporsi negli States; allo stesso tempo, però, fa pressione sul gruppo affinché si collochi in una dimensione più marcatamente hard rock, in linea con lo stile che sta rapidamente prendendo il posto del beat; il nuovo manager Dee Anthony, inoltre, spinge per dare un ruolo preminente a Marriott rispetto agli altri componenti.
A luglio del 1970 esce il terzo disco, intitolato semplicemente Humble Pie e noto anche come “Beardsley album” a causa della copertina, su cui compare un’illustrazione di Aubrey Beardsley; a marzo dell’anno successivo arriva il quarto lp, Rock On. In questi due album il suono degli Humble Pie trova la sua forma “classica” e maggiormente in sintonia con le sonorità di quegli anni: l’approccio è ruvido ed esplosivo, con sporadici rallentamenti acustici e omaggi ai classici (Willie Dixon, Muddy Waters). Se le definizioni di “genere musicale” possono avere un senso, gli Humble Pie sono maestri indiscussi dell’hard blues.La band si guadagna la fama soprattutto per i suoi concerti infuocati e appassionanti, di cui per fortuna abbiamo degne testimonianze: nel 1971 esce Performance Rockin’ The Fillmore, doppio live registrato a New York nel maggio dello stesso anno. L’album immortala un quartetto coeso e ispirato, capace di suonare con un’energia travolgente dall’inizio alla fine, senza mai annoiare: in poche parole, uno dei più forti live act del loro tempo, in un periodo in cui la concorrenza era di altissimo livello. Esiste un altro reperto, risalente al ’70, che mostra la qualità della band nelle esibizioni dal vivo: si tratta di For Your Love, un brano registrato per lo show Beat Club trasmesso dall’emittente tedesca Radio Bremen. La canzone, portata al successo anni prima dagli Yardbirds, nell’arrangiamento degli Humble Pie si trasforma in una lunga ballata acustica, intensa e mistica come una cerimonia religiosa. Sostenuto dall’ottimo lavoro dei compagni, Marriott offre un’interpretazione commossa e stordente, una delle migliori della sua carriera.
Dopo la pubblicazione di Rock On la band subisce un duro colpo: Peter Frampton se ne va, intenzionato a dedicarsi alla sua carriera solista. Nell’ultimo anno la band è diventata sempre più “Marriott-centrica”, sia per volontà della A&M che per la personalità del minuto rocker dell’East End, naturalmente votata alla leadership e difficile da arginare. Frampton non vuole fare da comprimario e abbandona il gruppo: al suo posto viene reclutato Dave “Clem” Clempson, già chitarrista dei Bakerloo e dei Colosseum.
Marriott ora è la guida indiscussa degli Humble Pie e impone una decisa sterzata verso le radici della sua formazione artistica: la musica nera. Il risultato è Smokin’ (1972), miglior successo commerciale di sempre per gli Humble Pie, che si trasformano in una vera e propria band blue-eyed soul. Un disco sanguigno e pieno di ritmo in cui Marriott può abbandonare ogni residuo pop dal suo stile canoro e farsi black come mai prima.
Il disco vende bene su entrambe le sponde dell’oceano, pur senza raggiungere il successo auspicato da Marriott, e fa ben sperare per il futuro della band: invece è l’inizio della fine. Nei due album successivi (Eat It, 1973; Thunderbox, 1974) prosegue il percorso di ritorno alle origini: alle registrazioni partecipano anche le Blackberries, tre coriste ingaggiate da Marriott per accentuare la componente R’n’B dei brani. I risultati però sono inferiori e anche le vendite diminuiscono ad ogni nuova pubblicazione. La casa discografica perde interesse nei confronti della band e i problemi personali di Marriott cominciano ad influire negativamente sul gruppo: già da tempo abusa di alcool e cocaina. Gli altri componenti del gruppo non sono da meno, e nessuno di loro si preoccupa di verificare la loro situazione economica: alla fine scopriranno di aver speso più di quanto guadagnato. C’è tempo per un ultimo album (Streets Rats, 1975) e per un tour d’addio prima dello scioglimento.A metà anni Settanta passa l’ultimo treno per la gloria: Mick Taylor abbandona i Rolling Stones, che vanno in cerca di un sostituto. Insieme ad altri nomi eccellenti viene fatto anche il nome di Marriott, che (secondo quanto riportato nella sua biografia All Too Beautiful…, scritta da Paolo Hewitt e John Hellier) sostiene una sorta di audizione informale in cui però si mostra restio a stare in retrovia come secondo chitarrista. Forse non viene ritenuto affidabile, forse Jagger teme che possa rubargli la scena, forse finiranno semplicemente per puntare su un musicista più adatto a quel ruolo: in ogni caso, al posto di Taylor verrà chiamato Ron Wood, che già cinque anni prima aveva preso il posto di Marriott nel suo precedente gruppo.
Marriott pubblica un disco solista (Marriott, 1975, A&M) che passa inosservato; scopre di avere enormi debiti con il fisco britannico a causa di tasse che il suo ex manager Anthony avrebbe dovuto pagargli; si trasferisce negli Stati Uniti, dove avvierà qualche breve progetto e resterà sino ai primi Ottanta; la A&M non gli verserà mai le royalties per i dischi venduti con gli Humble Pie.
Non ancora trentenne, l’ex divo mod comincia il suo progressivo ritiro dalle scene. Ha venduto milioni di dischi ed è ridotto in miseria, pieno di rancore nei confronti delle label e dei manager che hanno lucrato sul suo talento; la tossicodipendenza ha compromesso sia la sua arte che la sua vita privata (la prima moglie, Jenny Rylance, racconterà di averlo lasciato proprio a causa delle droghe e dell’alcool, che lo rendevano irascibile e incontrollabile); gli resta il tempo per due brevi e malinconiche reunion con gli Small Faces e gli Humble Pie, a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta (motivate più che altro dal bisogno di soldi). A metà anni Ottanta Marriott è sovrappeso, la sua salute è precaria, non ha mai risolto del tutto i suoi problemi con gli stupefacenti. Torna nei pub e nei piccoli club di Londra, lontano dalle case discografiche e dalla notorietà ma non certo impigrito: arriva a tenere una media di 200 esibizioni l’anno. In particolare, milita per diverso tempo in un nuovo gruppo, chiamato Packet Of Three. La sua diffidenza per le case discografiche lo porta a rifiutare di partecipare a diversi concerti sponsorizzati, provocando il risentimento dei suoi compagni. Le band che lo volevano con sé, intanto, sono ricchissime e famose in tutto il mondo (in alcuni casi, come i Led Zeppelin, già passate loro malgrado alla storia); Frampton ha raggiunto la ribalta con il suo best-seller Comes Alive!; i Faces hanno fatto da trampolino di lancio per l’ascesa di Rod Stewart, anche lui diventato una star a livello planetario. Forse il piccolo Steve porta fortuna, anche se non a sé stesso.
L’ultimo capitolo della storia è il più doloroso e sconcertante: a inizio anni Novanta, archiviata l’esperienza con i Packet Of Three, Marriott è impegnato in un nuovo ensemble, i DTs, ed è ancora richiesto per collaborazioni di vario genere. Frampton lo chiama per proporgli una reunion degli Humble Pie. Marriott accetta, lo segue a Los Angeles e iniziano a lavorare su nuova musica, ma dopo poco tempo cambia idea e il progetto resta incompiuto, con solo una manciata di brani registrati. Il 19 aprile del 1991 Marriott rientra dagli States insieme a Toni Poulton, sua terza moglie. È salito a bordo già alterato dall’alcool, continuerà a bere e a litigare con la moglie per l’intera giornata. Si fermano per la notte da un comune amico, ma mentre Toni dorme Marriott prende un taxi e torna nel cottage di Arkesden, Essex, dove vive da anni. La mattina successiva l’abitazione viene distrutta da un incendio, causato probabilmente da una sigaretta lasciata accesa sul letto. Nel sangue di Steve Marriott, morto per intossicazione da fumo, verranno trovate consistenti tracce di Valium, cocaina e alcool. A 44 anni, e in un modo tanto stupido da non sembrare vero, cala il sipario sulla vita di un fuoriclasse assoluto e sfortunato, un musicista influente come pochi altri e uno dei più grandi interpreti di sempre del soul bianco; uno che oggi, come beffa finale, in molti potrebbero scambiare per un pallido imitatore di Robert Plant.