Giulio Andreotti è morto oggi alla veneranda età di 94 anni. La sua figura è stata una delle più emblematiche della storia della nostra politica. Nato nel 1919, a 20 anni inizia ad intraprendere la carriera politica nel Fuci, la Federazione universitaria cattolica italiana che allevò tante leve dello Stato del dopoguerra come Aldo Moro e Francesco Cossiga. Nel 1948 fu Alcide De Gasperi in persona a volerlo nell’assemblea costituente e successivamente come candidato alle elezioni politiche. Da allora in poi, fino alla sua nomina a senatore a vita, avvenuta nel 1991, si è sempre seduto in parlamento ricoprendo per ben sette volte il ruolo di presidente del Consiglio, per otto volte è stato ministro della Difesa e per cinque volte ministro degli Esteri. Grazie ai numerosi incarichi istituzionali è riuscito ad accumulare su di sé una quantità di potere che nessun altro è riuscito ad accumulare. Il potere derivava sia dalle relazioni con personaggi di dubbia onestà, ma anche dalla sua abitudine di annotare nei suoi diari tutto ciò che accadeva, riuscendo così a raccogliere informazioni cruciali per la storia dell’Italia che hanno fatto sempre tremare dinnanzi a lui i suoi avversari politici.
I suoi governi sono passati tristemente alla storia per essersi succeduti in anni particolarmente difficili per il nostro paese. Tra i casi più eclatanti ricordiamo il suo ruolo di spicco nella commissione che escluse l’ipotesi dell’attentato nella morte dell’allora presidente dell’Eni, Enrico Mattei, ipotesi riemersa in seguito negli anni ’90.
Gli anni Settanta si aprirono sul “salvatore della lira” Michele Sindona e sulle malversazioni delle sue banche. I fallimenti del 1974 videro Andreotti in stretto contatto – per quanto filtrato da una rete costante di intermediari – con chi tentava il salvataggio degli interessi del banchiere.
Su queste magie nell’autunno del 1974 venne chiamato a lavorare il commissario liquidatore Giorgio Ambrosoli che, dopo quasi cinque anni di lavoro, attacchi istituzionali, minacce, e quasi in completa solitudine, arrivò a ricostruire le trame sindoniane, per finire assassinato l’11 luglio 1979 su mandato dello stesso Sindona.
Gli anni della strategia della tensione hanno significato inoltre il sequestro (dal 16 marzo al 9 maggio 1978) e il delitto di Moro, la linea della fermezza, smentita da tentativi di trattative occulte, e i comitati per la gestione dell’emergenza, fortemente infiltrati da aderenti alla loggia massonica P2, proprio nel periodo in cui Giulio Andreotti era presidente del consiglio dei ministri. Gli stessi anni videro le leggi speciali contro il terrorismo e la solidarietà nazionale dell’esecutivo, che soppiantò l’avvicinarsi del compromesso storico con il Pci.
Tutte queste sono vicende che non hanno mai smesso di far indagare e scrivere, nonostante siano passati molti anni, infatti, non è stata mai fatta luce appieno.
Ricordiamo Andreotti anche per i suoi duri scontri con Bettino Craxi, quando ricopriva il ruolo di Ministro degli Esteri, come nel corso della crisi di Sigonella.
Accusato negli anni successivi di aver favorito Cosa Nostra e di essere il mandante dell’omicidio del giornalista Mino Pecorelli, assassinato a Roma il 20 marzo 1979.
Dopo la nomina a senatore a vita, dal punto di vista politico, attuò un progressivo ritiro, dovuto anche alla necessità di difendersi nei processi che lo vedevano imputato, fino alla morte avvenuta quest’oggi.
I fatti descritti gli sono valsi innumerevoli soprannomi: gobbo, zio, Belzebù, Belfagor e Divo, reso noto anche dal celebre ritratto cinematografico di Paolo Sorrentino del 2008 “Il Divo”, che è forse uno dei riassunti migliori di una lunga vita piena di attività e stracolma di luci ed ombre. A questi soprannomi ha sempre risposto con una sana dose di ironia romana, una sua dote particolarmente sviluppata e che gli ha permesso di ingraziarsi gli elettori durante tutti questi anni.
Numerosi gli aneddoti passati alla storia, aneddoti che aiutano a delineare il personaggio, come quello che possiamo ascoltare proprio all’inizio del film di Sorrentino, dove Andreotti, interpretato da un grande Tony Servillo, ricorda: “<<Lei ha sei anni di vita>> mi disse l’ufficiale medico alla visita di leva. Anni dopo, lo cercai. Volevo fargli sapere che ero sopravvissuto. Ma era morto lui. È andata sempre così: mi pronosticavano la fine, io sopravvivevo, sono morti loro”.
Sempre da “Il Divo” proviene questo estratto di dialogo che descrive con inaudita chiarezza l’ambigua figura di Andreotti :“È inimmaginabile per chiunque la quantità di Male che bisogna accettare per ottenere il Bene”.
La sua veneranda età, ed il suo ruolo fisso nel parlamento prima, e nel Senato poi, hanno fatto sospettare ai più maligni che fosse come immortale, oltre che intoccabile, tanto da generare un’infinità di battute di humor nero, ovviamente a sfondo ironico, sulla sua morte, che stanno impazzando nel web in queste ore. Abbiamo cercato di raccogliere per voi le migliori:
“Le ultime parole di Andreotti: -Muoio sereno, sapendo che la DC è al governo-”.
“La morte di Andreotti è un segno. L’apocalisse si avvicina.”
“Andreotti suggerirà a Dio di porre fine a secoli di dibattiti teologici sulla Trinità e altre questioni apponendo il Segreto di Stato.”
“La strategia degli equilibri più avanzati a cui stava lavorando Moro per spostare a sinistra le gerarchie angeliche rischia di fallire miseramente.”
“Ora anche Andreotti parlerà con Dio e non più solo col prete.”
“La morte di Andreotti è strategica. Ci serviva un uomo di talento nell’alta burocrazia celeste.”
La raccolta di queste battute serve a farci ricordare che l’ironia, nel bene o nel male, è una delle armi migliori dell’uomo, capace di farci sorridere anche se la situazione può risultare tragica come nel caso di un decesso.
Le battute citate nell’articolo sono prese da L’Apparato e Accelerare il declino