Il mio lavoro consiste nello stazionare per ore in una piazza traboccante di gente e bellezza, all’ombra costante di una chiesa maestosa e della sua Cupola che dicono sia il capolavoro di un genio, e per quanto ne so sono pure d’accordo, anche se non ho studiato molto.
Faccio qualche passo ogni tanto, mezzo giro della piazza e torno al mio posto.
Sguardo fermo, glaciale, che deve sembrare fissi tutto anche quando non vedo niente, aria truce.
Fra le mani tengo un fucile grosso e dall’aria feroce. Però la mia divisa è bella, porto fra il grigio della pietra eterna e il bianco del marmo sacro i colori del bosco in città. Sembro una zolla di terra.
Potrebbero spuntare i cattivi, da un momento all’altro, proprio qui, in mezzo a migliaia di persone che vengono da tutto il mondo a fare l’occhiolino alla bellezza sulla quale veglio a turni stabiliti da qualche mese. Difficile riconoscere i cattivi fra migliaia di persone diverse. Potrebbe essere quello che mi passa accanto ora, di solito non è nessuno.Anche perché se foste un cattivo voi andreste a fare cattiverie proprio nel raggio d’azione del mio enorme fucile?
Ma io devo personificare la risposta al bisogno di sicurezza e di protezione che c’è in misura diversa dentro tutti.
Poi se c’è qualcosa che i cattivi hanno insegnato nella loro follia è che vogliono carne ed essa si trova ovunque, passeggia o sosta nelle strade e nei locali in varie forme simili.
Ma io non sono ubiquo né indovino, e da qualche parte mi dovevano mettere e forse hanno deciso di mettere un simbolo sotto un simbolo.
Dicono che i cattivi vogliono che si abbia paura, che aggiungiamo alle nostre insicurezze personali altra insicurezza generale.
E così passo le ore qui, tutti mi sfiorano ma tutti fanno finta di non vedermi quando mi passano davanti, devo fare uno strano effetto. Avessi fatto questo mestiere cent’anni fa a quest’ora sarebbe stato molto diverso. Sarei stato carne da cannone, non avrei avuto questo enorme fucile ma sicuramente avrei sparato di più.
Quando finirà questa guerra invisibile, eterna e assente? Ogni guerra pare infinita mentre è in corso. Però questa è un po’ diversa. Non è proprio una guerra.
E’ allerta permanente, è guerriglia civile fra popoli lontani che non si conoscono, è un sacrificio sadomasochista inutile di pochissimi, è una vendetta subdola, una rivalsa assurda, tardiva e di dubbio gusto della storia. E’ un altro giro del cerchio del tempo.
Ma io sono qui. A volte mi avvicino a fare due chiacchiere con gli altri, ma non si può esagerare, a volte mi perdo a fissare qualche culo meritevole, altre volte gioco a immaginare le provenienze delle facce che mi passano davanti, o l’età, finisce che mi diverto a immaginare qualche pezzo di vita altrui.
Maledetta torre di Babele. Qui suonano decine di idiomi. Chissà che si dicono. Fotografie, miliardi di fotografie, scatti come spari in un combattimento immaginato, pose sempre uguali.
La maggior parte del tempo lo passo fra uno sguardo alla Cupola e uno alla facciata della chiesa. L’occhio batte dove la meraviglia duole.
La Cupola è grandiosa, è perfetta, è indescrivibile.
In questo momento il cielo dietro di lei brilla spazzato dal vento freddo di questo inizio di primavera, accanto ha uno spicchio di luna crescente bianco, tutto si muove sotto, persone come onde e lei rimane immobile, io la guardo e penso che anche solo potersi immaginare di essere a difenderla è un privilegio stupendo e che se me lo permettessero rimarrei qui a oltranza, per tutta la vita.
La facciata della chiesa trasuda fierezza e magnificenza, a volte mi pare che una statua si volti o muova un braccio.
Ora però è finito il turno. Nessuna traccia dei cattivi. Il fucile diventa come un bambino dopo un po’ che lo tieni fra le mani. Un bambino che può sparare e invece mi dorme fra le braccia.
Si torna verso la jeep posteggiata al lato della chiesa, per fare ancora più impressione. Sembra un albero cresciuto in città, uno strano arbusto spuntato dalla pietra.
Passo davanti a un’edicola. Il bollettino del giornale scrive a grossi caratteri che stanno per mandarci rinforzi.
Così vi sentirete ancora più al sicuro. Ma in realtà non lo saremmo mai. Perché quelli che chiamiamo cattivi sono matti sparsi disposti spesso a morire, e basta un secondo per farlo, ovunque.
Perché ci sarebbe poco da fare e c’è da sperare che siano pochi idioti e che quei pochi si riesca a bloccarli prima che possano mettersi in azione. D’altra parte c’è così tanta confusione in questo mondo sorretto da equilibri perennemente instabili che sperare di poterlo proteggere dalla follia di qualcuno che può spuntare ovunque, in ogni attimo, è un’utopia tracotante.
Guardatevi indietro, non c’è bisogno di un binocolo. Viviamo in un paese che per decenni ha visto saltare in aria treni, banche, aerei, piazze, stazioni, autostrade e spesso non sono nemmeno riusciti a dirvi chi è stato, o quando ve l’hanno detto non vi interessava quasi più.
Ci sarà sempre un esaltato che in un modo o nell’altro proverà in nome di qualsiasi assurda causa a disseminare paura. E’ una pianta infestante che se anche sradichi rispunta, è un filo conduttore delle epoche. Conviene farci meno caso possibile. Inutile perdere tempo a guardarla o a maledirla.
Ultimo sguardo alla Cupola prima di salire nella jeep. La sto proteggendo. E questo basta perché rientri felice alla base, perché la missione anche per oggi possa dirsi compiuta.