I Pearl Jam tornano sulle scene musicali con il loro decimo album studio. Dopo mesi di attesa e una lunga campagna pubblicitari sul sito ufficiale della band (i vari countdown che segnalavano l’uscita dei singoli e del tour americano, affiancati da un video documentario riguardante la registrazione del disco), l’attesissimo album, Lightning Bolt, è finalmente uscito. La critica dal canto suo, non ha esitato nei commenti, delle volte molto duri, sparando a zero sulla linea musicale adottata dalla band, “un album troppo pop”, per intenderci. Essendo un fan accanito, cercherò di essere imparziale nell’analizzare al meglio la linea melodica e non solo dell’album. Sicuramente “non è il disco che rivoluzionerà la musica rock”, ma non vuole essere il contentino da dare alle nuove generazioni per farsi apprezzare e non essere dimenticati; non è nello stile dei PJ. Vero è che i 50 anni sulle spalle di tutti i membri si fanno sentire, ma la voglia di fare musica come quando se ne aveva 20 non è mai uscita dalla mente di Vedder e soci. La scelta di adottare una linea melodica, tendenzialmente pop, non vuole dire che si sono convertiti alle leggi del “business musicale” solo per vendere dischi e per guadagnare soldi (penso proprio che non ne hanno bisogno dopo 20 anni di carriera e milioni di dischi venduti in tutto il mondo). Semplicemente si ha un approccio diverso con la musica. La “generation X”, quell’esercito di giovani incazzati con il mondo, figlia degli anni 90, che vedeva la band di Seattle tra le prime fila, ha maturato una nuova coscienza musicale, un nuovo approccio di composizione e di scelta stilistica, armonica e melodica. Del resto è sempre pop fatto da chi di musica ne capisce. Chiudendo questa parentesi, l’album suona e come!

Si inizia con Gateway, rock allo stato puro, struttura ben costruita e di semplice ascolto, per poi passare alle successive Mind Your Manners e My Father’s Son, un bel riff iniziale per la prima, melodia più cupa ma trascinante, per la seconda (la parte musicale è stata scritta dal bassista Jeff Ament). Si arriva al 4° pezzo, una vera e propria ballad, Sirens, armonia dolcissima, grazie soprattutto alle chitarre di McCeady e Gossard. Si prosegue con Lightning Bolt, omonimo dell’album, esplosiva nel finale, Infallible, forse l’unico pezzo che non sembra provenire dal background della band. Pendulum, costruita attorna alla voce di Vedder, ottima scelta per quanto riguarda l’effettistica delle chitarre. Swallowed Whole e Let The Records Play, forse e lo sottolineo, sono i due pezzi più interessanti del disco, impeccabile il solo di McCready nella seconda traccia citata. La traccia n°10, Sleeping By Myself, è una riproduzione del singolo già presente nel disco solista di Vedder, Ukulele songs; che dire…interessante l’arrangiamento, ma suonata solo con l’ukulele è tutta un’altra cosa. Si arriva così alla fine del disco, con Yellow Moon e Future Days, due pezzi molto tranquilli, melodie rilassanti, quasi delle colonne sonore per quei viaggi “on the road”, che fanno riflettere ma allo stesso tempo danno la carica per andare avanti.

Nel complesso il disco è buono; sicuramente verrà apprezzato nel tempo. Certo è che non sono i Pearl Jam dei primi anni 90, quando con Ten e Vs, rispettivamente album d’esordio e successivo, infuocavano i palchi di tutto il mondo, con pezzi aggressivi, come Even Flow, Alive, Animal, solo per citarne alcune, quando Vedder si lanciava sulle folle in estasi e McCready e soci distruggevano tutto ciò che si trovava sul palco.

In questi giorni circolano sul web alcune notizie riguardanti un eventuale tour europeo nel 2014, ma ancora non si hanno comunicazioni ufficiali da parte della band. Aspettando l’ufficialità del tour auguriamo lunga vita ai Pearl Jam.

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