Prog rock anni ’70, jazz, suoni rubati alla strada, il tutto condito con un velo di salsa mediterranea e l’amalgama è quella fresca e poco prevedibile di “Non c’è 2 senza 5”, album d’esordio del chitarrista milanese Romeo Velluto, uscito lo scorso novembre per Bull Records (etichetta che ha pubblicato l’ultimo lavoro di Gaetano Liguori, per intenderci).
Nate nel tempo di un’estate on the road e registrate presso i Blap Studio di Milano nell’arco di soli tre giorni, con la collaborazione di Francesco Piras (tromba e flicorno), Vito Zeno (contrabbasso) e Stefano Lecchi (batteria), le nove tracce che compongono questo lavoro sono il risultato di tre anni di tentativi, errori, ipotesi e soluzioni maturate durante i numerosi live che ne hanno testato arrangiamenti e cifra stilistica.

Abbiamo parlato con Romeo Velluto, che così ci ha raccontato il suo tentativo di liberarsi dagli stretti canoni del jazz degli anni ’40 e ’50 lasciandosi influenzare da altro.

Partiamo subito con una domanda alla Marzullo: che cos’è il jazz in Italia nel 2012?

Questo è un domandone! parlare di jazz in Italia come nel resto del mondo è ormai un’impresa impossibile, parliamo di un’attitudine musicale più che di un genere preciso, o meglio un background che con le sue decine di contaminazioni ci permette di approcciare i vari linguaggi musicali e condizionarli/essere condizionati. E’ una miscela continua, un bordello insomma…

E che cos’è il jazz per Romeo Velluto? Quali sono il tuo background e i tuoi riferimenti?

Altro domandone, sicuramente per me il jazz è un mondo ancora in parte sconosciuto ma estremamente affascinante, continuo a scoprire nuovi modi di interpretarlo ascoltando vecchi dischi e nuovi progetti musicali di miei colleghi. Non ho riferimenti precisi, vengo periodicamente influenzato da quello che mi capita di ascoltare, di qualunque genere, comunque alla base c’è sicuramente una vena rock prog ’70, del folk, la fusion elettrica e il cool jazz.

Parliamo un po’ della genesi dell’album: come è nato e cos’è il VelvEtnoJazz?

Come spesso accade nel panorama jazz, i “progetti” nascono da una sola persona, che poco a poco “seleziona” i componenti del gruppo attraverso una serie di live, io ci ho messo parecchio, sono 5 anni che volevo realizzare questo album. Il nome del progetto VelvEtnoJazz, è una parola composta da Velvet (Velluto) Etno che sta per tradizione etnica e ovviamente Jazz.

“Non c’è 2 senza 5”, curioso, perché questo titolo?

Il titolo non c’è 2 senza 5 prende spunto da una battuta fatta durante la prima sessione di registrazione, non ricordo il perché e il percome ma faceva ridere penso… altrimenti perché avrei dovuto sceglierlo?

Come sono nati i 9 pezzi che compongono questo lavoro?

Ogni pezzo ha la sua storia, ci sono pezzi che nascono esercitandosi sullo strumento, pezzi che nascono cazzeggiando, pezzi che nascono da vecchie cose scritte in passato e poi ripescate, pezzi nati cantando in giro per la strada, tornando a casa da serate brave, e altri che vogliono trasmettere precise sensazioni…ci sono mille motivi per scrivere musica, è la cosa più naturale del mondo.

Ascoltando questo lavoro risulta subito evidente che il quadro di riferimento è piuttosto composito, quali sono le contaminazioni presenti nell’album?

Rock prog ’70, jazz modale e sonorità mediterranee.

Perché la scelta di questo organico (chitarra, flicorno/tromba, contrabbasso e batteria)? In che modo questa formazione, tutto sommato classica, è stata utilizzata nell’ambito di questo progetto, che per molti aspetti si allontana da una visione purista del jazz?

Penso che dal punto di vista dei ruoli dei singoli strumenti non ci sia una particolare innovazione, l’unica cosa insolita sta nell’uso della chitarra acustica in molti brani, oltre quello della tradizionale chitarra jazz. In passato avevo provato a suonare con altri elementi ma il risultato non mi soddisfaceva, non penso si tratti tanto della scelta degli strumenti ma della scelta delle persone, cioè intravedere come uno si relaziona al materiale musicale, è più una questione di carattere che di strumento.

Come hai utilizzato il tuo strumento, la chitarra, all’interno di questo lavoro? In che rapporto con il resto della strumentazione?

Dipende da cosa uso, con la semiacustica jazz, mi affianco a Piras in un approccio poco muscoloso e molto intimista, in alcuni brani ho interagito anche rumoristicamente, e questa è un’altra vena musicale del gruppo, usando invece l’acustica cambia il modo di suonare, l’approccio diventa più estremo, o ritmico e aggressivo, oppure ancora più minimale.

La voce compare solo una volta all’interno dell’album nel parlato all’inizio di “Ostinato Cancello”, quasi un rumore d’ambiente. Cosa rappresenta questa fugace apparizione della voce in un lavoro altrimenti in toto strumentale?

Premesso che a me piace la musica strumentale, “Ostinato Cancello” è nato in Sicilia come brano strumentale esattamente come gli altri, però all’epoca giravo con questo registratore e mi divertivo a registrare i suoni che incontravo lungo la strada, così mi sono imbattuto nel mercato di Palermo che è un mondo fantastico e l’ho ripreso, adoro quella parte dell’album. Non ha un significato particolare se non quello di omaggiare la terra che mi ha ospitato per qualche tempo.

Il lavoro di registrazione è stato piuttosto breve: com’e andato? cosa ha portato alla natura dei pezzi?

Si, una volta trovata la formazione giusta è stato relativamente corto, sono bastati 3 giorni, ma in 2 sessioni diverse fra le quali è passata un’estate. Più faticoso è stato il mixaggio. Alcuni pezzi non erano ancora maturi alla prima sessione, per quelli più rodati è stato paradossalmente più difficile, forse perché avevamo maggiori aspettative; “Quiete” è stata letteralmente “scoperta” in studio. Da quando scrivi un pezzo jazz a quando lo suoni bene passa sempre un tot di tempo, è il tempo che ti serve per metabolizzare, capire cosa vuoi e puoi dire con quel materiale musicale, trovare il modo di rendere l’idea sia da un punto di vista solistico che come arrangiamento di gruppo.

Vi aspettavate esattamente questo risultato o ci sono stati momenti in cui vi siete lasciati prendere la mano e avete cambiato le carte in tavola lasciandovi trasportare dagli eventi?

Quando ho iniziato a pensare al mio primo album, parliamo di 5 anni fa, avevo in mente tutt’altro, pensavo di coinvolgere tutti i miei amici e colleghi musicisti, poi mi sono reso conto che sarebbe stato delirante. E’ passato così tanto tempo che non ricordo neanche più i vari passaggi e come io sono cambiato rispetto alle cose che accadevano, ora mi sembra che ci sia qualcosa di bello, come un diamante grezzo, ma è tutto in divenire, ci sono già dei pezzi che iniziamo a suonare in modo diverso dall’album.

Suggerimenti per l’ascolto?

È un lavoro che va gustato con calma, un pezzo alla volta, e con gli occhi chiusi.

 

“Non c’è 2 senza 5” lo trovate qui:

http://www.soundcloud.com/velvetnojazzproject

www.newmodellabel.com/velvetnojazz/

www.ird.it

 

VelvEtnoJazz live:

18 dicembre, Milano, Parco Divino

17 gennaio Milano, Leoncavallo

19 gennaio, Forlì, Ex Macello

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