La questione principale delle arti figurative, specie contemporanee, spesso risiede sulla loro pregnanza naturale; molto spesso si chiede loro di gareggiare con la natura stessa, non contrastarla con i concetti e i materiali.
Piuttosto l’intervento creativo deve recuperare, infatti, quel potenziale umano che risorge, anche impercettibilmente, dopo un caos primordiale. Come può avvenire ciò, utilizzando anche i codici più contemporanei dell’Architettura? E’ questo che pensavo giungendo nell’accogliente studio di progettazione, sito nel centro storico di Chieti, dell’Ing. Manfredo Gaeta e dell’Arch. Annalisa Di Luzio. Ancora sulla carta, ma già chiara nelle mie prime percezioni, la riqualificazione da loro pianificata in uno spazio apparentemente insignificante nel centro storico della martoriata L’Aquila.
Tre aree – diaframma che segneranno, grazie agli accenti aggregativi posti nel disegno, il passaggio tra i luoghi simbolo della città stessa: ad esempio a partire dal Palazzo del Governo, l’edificio classicheggiante che ha fatto pietosa mostra di se, per molto tempo, sulle pagine di tutti i quotidiani, con le sue trabeazioni e le sue colonne al collasso. Un’immagine che nel tempo è diventata focale, nel racconto semantico di quel che fu lo sconquasso umano e culturale – ma anche politico – apportato dal sisma del 2009.
Il progetto dell’area, operato senza violenze dai due giovani professionisti, risponde dunque ai luoghi più storici ed istituzionali che amalgamavano, un tempo, la frizzante e serena vita culturale del capoluogo d’Abruzzo. Le tre platee sono definite, a ridosso di uno spazio verde preesistente, quasi contiguo al Corso principale, da un cordolo simbolico che evoca il diagramma zigzagante del sisma.
Il percorso così pensato, dunque, procede discendendo dal Campidoglio abruzzese. Alla fine del cammino, cioè nella quota più bassa dell’intervento, si concentra quello che – simbolicamente – rappresenta anche l’abisso maggiore del dolore; ma allo stesso tempo questo dolore si muove, si riorganizza e risorge, facendosi spazio di condivisione.
Dunque il dramma si trasforma, forse solo nella mia testa – ci mancherebbe – in quel primo riordino che la natura fa da sé, ma spesso anche per mano di una solidale creatività umana. Dal caos, le ceneri del sisma sono state cristallizzate, dunque, nei primi semplici riordinamenti susseguenti al “Big Bang”; ecco che il cemento rivestito in pietra dei sedili, nei volumi sobri e nettati che ricordano le visioni di Carlo Scarpa, sono anche le ali divelte di una fenice ferita. Esse ora si adagiano, restaurate, per offrire il loro prezioso supporto alla recuperata socialità cittadina.
Piena di fermento e aggregazione, questa socialità – così la ricorda Manfredo, che per anni si è formato proprio a L’Aquila conseguendo nell’ateneo locale la laurea in Ingegneria. Tra emozioni e spiegazioni, insieme alla sua collega Annalisa, discutiamo quindi le ragioni del progetto in questione.
Tra i sedili, una passerella che attraversa uno specchio d’acqua, alberi che fanno ombra. Il tutto alimentato dai tubi interrati, che inseguono il tempo breve ma lungo, nervoso e illogico, del sisma; vigilandolo e soppiantandolo nel vitale e rasserenante specchio d’acqua del nuovo slargo così definito.
Combattere la morte con la Vita – è cosa c’è meglio dell’acqua per manifestare questa nobile battaglia!? La verticalità soggiunge a rompere la configurazione planimetrica, delicatamente evidenziata, dell’area. Ci pensa un obelisco che fungerà – probabilmente – da laico minareto della città. Esso richiamerà anche il monumento ai caduti della prima guerra mondiale, posto proprio dinnanzi al classicheggiante palazzo della Regione, di cui si diceva. E’ anche un Albero della Vita, coerentemente alla rigenerazione naturale di cui ho ancora la mente invasa, e come gli stessi bozzetti architettonici vogliono fare intendere!
E’ anche in tali declinazioni dell’obelisco – albero, che l’opera delle nuove generazioni di progettisti, proprio come in questo caso, differisce organicamente da quella dei neoclassici di un secolo fa, i quali si servivano dello storicismo ingigantito per coniugare – in modo troppo scolastico – la nobiltà del dolore.
Dai bastioni del Castello Cinquecentesco, dove Renzo Piano ha realizzato il suo Auditorium (“Auditorium del Castello”), fino al Corso cittadino (non a troppa distanza dal triste viale che ospitava la Casa dello Studente), l’obelisco ricorderà – ottimisticamente – il dramma cittadino. Dunque l’elemento non va letto, in definitiva, soltanto come una logora bandiera a ricordo dei caduti di una guerra, o un olocausto (sarà meglio dire, in questo caso specifico).
Mossi dal loro concetto umanistico, e non solo tecnologico, in merito all’architettura e l’arte, Manfredo ed Annalisa hanno raccolto una sfida che potrà rivelarsi proficua per una intera Regione e le sue nuove generazioni.
Una Regione, che con il suddetto intervento di Renzo Piano, ma anche quello di altri Archistar – si pensi anche alle esperienze di Fucsas a Pescara – può avere l’occasione di cambiare marcia per il futuro, integrando la sua pittoresca tradizione architettonica con la contemporaneità. Una contemporaneità comunque ragionata, ma che si adagi anche con autorità, e senza troppi fronzoli, tra le linee calde dei bei centri storici abruzzesi.
Siete d’accordo? Ho chiesto ad Annalisa e Manfredo.
Certo! E non è questione di architettura contemporanea, ansia di ‘modernismo’ e quant’altro.. – mi hanno spiegato.
L’auditorium di Renzo, ad esempio, funziona… funziona e basta! Per giunta funziona in un luogo quasi sacro, per la sua storicità, ad un tiro di fucile dal castello, ed al di là delle varie speculazioni sul concetto di Architettura, Estetica, Tradizione e quant’altro.
Funziona la sua forma, che disinvoltamente estrapola quella di uno dei vicini bastioni angolari della fortezza; e si avvale, allo stesso tempo, della tecnologia funzionale ai moderni fabbisogni degli spazi aggregativi. Molti centri storici d’Abruzzo sono spesso andati in tilt, anche senza terremoti, a furia di “incollare” facciate in stile, o comunque lasciare edifici storici in uno stato putrescente.
Laddove uno spazio può risorgere, anche nel cuore di un centro storico, ben venga dunque! Ben vengano nuove idee che hanno tanto da dire, grazie ai simboli progettuali che ogni operatore ricerca nella propria umanità…
Ribadiscono e arricchiscono in modo deciso le loro idee, Manfredo ed Annalisa, facendo leva anche su qualche mia considerazione. Ben vengano cose nuove, dunque, ma che funzionino – è l’accordo tacito cui addiveniamo; l’importante, soprattutto, è che la ‘nuova architettura’ comunichi con cognizione di causa, ad esempio soddisfacendo una esigenze sociali e interiori. L’intelligenza collettiva è ormai pronta per leggere le forme, i dettagli, i simboli anche più sottili, partoriti da molteplici e sempre più intime sensibilità innovative. Ormai l’intervista è diventata quasi un manifesto a tre, siamo sostanzialmente d’accordo sulle considerazioni generiche circa il giusto accordo tra la tradizione e la contemporaneità. Dal canto loro, comunque, i due tengono a ringraziare la commissione che ha decretato la vittoria del loro progetto: evidentemente hanno ben letto la nostra accuratezza nel tradurre le potenzialità umane ed evocatrici di quel luogo da ri-qualificare. Noi molto spesso, in effetti, scegliamo i concorsi in base alle nostre istanze più intime e nel rispetto della nostra idea di Città. Quanto a L’Aquila stanno lavorando moltissimo, anche se ciò può non sembrare, se si seguono le solite voci mediatiche mosse più che altro dal dibattito politico e demagogico.
Si evince che la speranza, in generale, è che l’Abruzzo sappia trarre nuove prospettive da questa sciagura accaduta nel 2009, pur maledicendola per sempre. In termini umani non c’è dubbio che ciò sia avvenuto, ora molti si aspettiamo che ciò avvenga – però – anche in termini culturali. Si intende che ciò vale, più generalmente, anche e soprattutto per l’intera politica culturale italiana…
L’architettura può raccontare quelle che sono le tradizioni dei nostro territori, e può farlo anche con un rilancio edilizio all’avanguardia, esteticamente ripensato, allorquando questo sia attento anche a registrare il valore intrinseco dei vari luoghi. Ora sono io che rifletto, in effetti, ad alta voce.
Il mio pensiero si è fatto senz’altro più nitido. In un paese che si fa scudo, forse troppo, di una tradizione culturale risalente ancora all’epoca dei Comuni, allorquando Brunelleschi dovette cercarsi un mercante illuminato, tra i tanti che erano avvezzi anche al coltello e alla congiura, io mi auguro che la vittoria di Manfredo ed Annalisa segni un passo importante. Anzitutto mi auguro che non resti tutto sulla carta!
Esco dal loro studio come se mi fossi avventurato nel laboratorio di due esploratori. Di qui i miei pensieri si espandono in senso marcatamente politico. I due ragazzi sono andati alla ricerca dello spazio a loro più consono, tra i pochi offerti dalle istituzioni. Lo hanno trovato, ed hanno trovato uno spazio nello spazio; raccoltisi in quel luogo, hanno cominciato a comunicare la loro visione e le loro aspirazioni: in definitiva questa loro ricerca è approdata sulla parte meno incrostata di una profonda ferita.
Quanto somiglia a tutti gli operatori del nostro paese, soprattutto giovani e comunque di ogni settore, questo paragrafo professionale dei due protagonisti. Ritagliarsi uno spazio, muovere da istanze autonome e personali, dunque frutto di sogni e illusioni che troppo spesso trovano, sulla loro strada, chilometri di filo spinato…
Forse dal mosaico di interventi simili a questi, a partire dall’Aquila, i cambiamenti estetici nel nostro farraginoso Paese potranno svegliare una rivoluzione morale! Una rivelazione che io, Annalisa, Manfredo e tantissimi altri si aspettano da molto tempo – forse troppo!