Per chi ormai si fosse abituato alle interviste con la mia firma sa bene che di solito mi dilungo in premesse vagamente lungheggianti per presentare il fotografo o la realtà di turno… ma non a questo giro! Oggi voglio lasciar parlare i diretti interessati. Faccio solo due semplici premesse: se questa intervista vi farà storcere il naso forse sto andando nella giusta direzione; se la forbice della fotografia continua ad allargarsi tra i maestrini del settore e i contenuti “core” saprete da che lato trovarmi. Partiamo, a bomba. Chi o cosa è King Koala?
King Koala è una realtà editoriale legata a un gruppo creativo e alle loro produzioni. Si tratta di gente pigra che rischia l’estinzione, proprio come i koala. Gente che si vuole salvare dal fuoco che la circonda. Pensiamo libri, creiamo libri e produciamo libri. Totalmente indipendenti e autoprodotti, autofinanziati e desiderosi di dare respiro ad artisti legati a una visione condivisa della diffusione artistica. Siamo nati a Milano in tempo di pandemia, ma siamo aperti a tutto il mondo e vogliamo conoscere un sacco di koala in giro per l’universo.
Una scuderia di sei artisti per altrettante pubblicazioni: dove volete arrivare? Avete un obiettivo o la vostra missione è una corsa folle verso il vuoto?
I nomi che sono presenti sulla nostra pagina sono in continuo aggiornamento perché non siamo una squadra chiusa ma un parco aperto, una yard dove si lavora su un progetto proposto. Con i nostri tempi lenti e le nostre scelte un po’ infantili. Con l’idea di non lasciare nelle mani di super service le autoproduzioni, ma di crearle insieme alle sensibilità degli altri. Noi vogliamo pubblicare materiale cartaceo, fisico di qualità. Presentandolo a modo nostro, seguendo un mood che ci rispetti nei nostri limiti e nelle nostre sensibilità.
I contenuti che veicolate, come gli artisti della scuderia, spesso sono noti per fare della fotografia diretta, schietta. Spesso in analogico ma sempre orientata verso contenuti crudi, come a voler raccontare la realtà senza filtri. Perché questa scelta?
La fotografia è sicuramente il primo ambito di interesse editoriale di King Koala perché attraverso l’immagine fotografica, sia digitale che fisica, si celebra una dimensione materica molto interessante e dal linguaggio universale. Non c’è solo la fotografia nei nostri sogni, ma anche la fotocomposizione e l’illustrazione. Uno come Luca Mata che crea e realizza i suoi Composition Books, una sorta di compendio materico di ispirazioni e suggestioni, stampato e raccolto in box, è l’esempio perfetto di come la fotografia che amiamo sia al contempo un legame con l’imminenza. Cerchiamo di dare una forma a ciò che accade in quell’istante, per questo ci piace la fotografia con contenuti crudi. Senza contare che una cosa che ci manda in estinzione è la denigrazione di contenuti sessuali espliciti, nudo e altre forme di erotismo visivo. Ha senso continuare a ribadirlo, per non venire a patti con il bigottismo.
Ultimamente, grazie agli infiniti canali social, alle piattaforme lanciate dai vari giornali, ai contest, alle case editrici la fotografia, e mi sento pronto a ripeterlo mille volte ancora, sta prendendo due strade ben distinte: da un lato troviamo una fotografia elegante, pulita, indirizzata ad un contenuto che vuole nutrire gli occhi di bello; dall’altro lato troviamo una fotografia declinata in mille immagini crude, spesso provenienti dalla strada o da uno stile di vita molto aggressivo. Nella forbice sempre più persone che cercano di trovare uno stile.
A questo proposito vorrei chiedervi: qual è il vostro background? quanto credete che influisca sul fare fotografia?
Il nostro background è quello che ci tiene in vita. Quello che siamo stati, le vibrazioni e le frequenze che abbiamo preso sono quello che ora siamo, rielaborato secondo varie realtà accidentali. Questo non vuol dire che la tecnica sia possibile su più fronti. Si possono avere foto eleganti e foto bastarde dalla stessa mano, dallo stesso occhio. Anche nel nostro background, quando da piccoli ci portavano da Burgy e guardavamo le gambe di Cindy Crawford, con le prime erezioni e la voglia di fare brutto come Ryu o Ken, c’era il patinato. Non siamo lupi della strada o leoni da savana, siamo koala. Siamo strani, pigri e mangiamo eucalipto. Guardiamo dagli alberi e se cadiamo andiamo in panico. Ci piace vedere, osservare, fotografare e sognare. Alessandra Pace si porta dietro Pescara e tutto il suo universo, ma lo racconta oggi. Così come Mata si porta dietro le immagini di Go Nagai o Shyla e Meuri preparano un enorme mixtape visivo delle scritte che leggevamo sui muri e ci lasciavano a bocca aperta.
Una domanda in particolare su “Domiciliari 2020”: nelle pagine ci sono molti scatti che vengono dal mondo del writing e dell’underground. Questi temi ultimamente stanno diventando di dominio pubblico tra writer che diventano influencer e quartieri che subiscono gentrificazioni molto pesanti (ho letto spesso in alcuni post la vostra vicinanza alla fu Via Padova). Secondo voi perché si cerca di far passare per “di tendenza” attività che prima venivano stigmatizzate? Dove finisce il vandalismo e dove inizia l’arte che può essere universalmente apprezzata?
Per noi l’arte esiste e basta. Non è qualcosa che viene prodotto ad hoc e non è un nome che compare quando qualcuno o quando una società decide di farlo apparire. Per noi l’arte è nel momento stesso qualcosa che si crea da sola insieme all’artista o di per sé, senza per forza un vero creatore. Il writing è cultura, è raccolta di flussi e nomi, codici e colori, è uno sviluppo necessario della propria esistenza all’interno della città. Non esisterebbe writing senza città, secondo noi. Si cerca di creare il trend perché si è privi di contenuti e perché non si ha voglia di approfondire. La bellezza del writing è nel suo essere effimero. Un pezzo oggi c’è, domani non si sa. Nomi che hanno spaccato per anni e che ora sono stati seguiti da altri, e altri ancora in un flusso liquido di sensazioni visive e immaginative che si può creare solo attraverso l’inchiostro. Il progetto di Shyla e Meuri che si stanno concentrando parecchio su questo tema è partito con un sodalizio su “Domiciliari 2020” e si compierà in una vera e propria compilation di foto in questa direzione. Un vero greatest hits.
In una società in cui internet accorcia drasticamente le distanze, perchè avete ritenuto opportuno tornare ad una pratica “indipendente” come le fanzine? Credete che la carta sia un veicolo necessario per le foto? Quali sono secondo voi gli scenari possibili per la scena fotografica?
A noi piace il concetto di fisico. Ci piace il corpo (anche nudo), ci piace la musica in vinile e in cd, ci piace la tela, la pellicola e la sua presenza nel mondo. Quando abbiamo iniziato a guardare le foto che volevamo pubblicare ci siamo accorti della necessità di dargli un corpo. Luca Mata ha realizzato un intero bagno, un cesso montato sulla base delle sue instax e polaroid. Ha riempito i muri di donne nude fotografate da lui e impresse in quel momento, senza possibilità di ritocco o modifica. Questo suo coraggio, nel vedere l’installazione, ci ha permesso di continuare su questo percorso e ci siamo concentrati sui Composition Books che ad oggi restano una stampa eccelsa per la resa dell’immaginario creativo di Luca. Quei quaderni che lui stesso ha ricamato, sfregiato, colorato, riempito di adesivi e foto ora hanno una loro evoluzione nella fruizione e possono arrivare a chi vuole conoscere l’immaginario di Mata in tutto il mondo. Solo con il digitale, solo attraverso i canali di internet tutta questa parte si perde, per forza di cose. Non vogliamo rinunciarci. Anche il progetto di Alessandra Pace, in una selezione dei suoi ambienti con scatti in solitaria a modelle e presenze fisiche, trova il suo giusto respiro solo nella stampa in grande formato, ispirata alle forme editoriali di scuola giapponese. Per noi la fanzine, il DIY, è un ring di lucha libre con corde flessibili e grandi colori, salti e voli acrobatici. Cerchiamo di far quadrare i conti ragionando su progetti che ci piacciono. Usciremo con un album di figurine, con una cassetta piena di foto, con un libro di collage. Traduciamo tutto in inglese per farci conoscere e per entrare in contatto con più persone interessate e interessanti possibili. Insomma, siamo pigri e fuori di testa.
Esiste, secondo voi, una scena fotografica in italia? Vi rapportate con qualche realtà?
Questo non lo sappiamo. Quello che sappiamo è che ci sono bravi fotografi e gente con uno sguardo molto interessante. Ci sono persone in grado di cogliere i sentimenti dell’esistenza, persone che sanno fermare un ricordo pieno delle sue suggestioni solo con uno scatto. Come quelli raccolti nel lavoro che ha portato avanti Badseedzine e che ad oggi vuole ancora portare avanti il messaggio di una fotografia non riconosciuta nel nostro paese. Noi pensiamo che la foto più bella sia anarchica. Non in senso negativo o surreale. Nel senso che deve poter godere di una libertà che vada oltre una tendenza o una serie di modelli simili. Deve poter essere l’espressione di chi guarda e deve poter portare con sè un messaggio che non si può raccontare a parole.
Ai ragazzi che vorrebbero far uscire del materiale, a chi viene puntualmente scartato da call e concorsi fotografici ma che vorrebbe mettersi in mostra… cosa consigliate?
Le call e i concorsi fotografici non sono la diretta espressione della propria volontà di produrre. Possono essere delle esperienze, possono essere delle sfide, ma se uno ha fame di scattare, di mostrare quello che sta creando, di cercare un suo stile quello non può essere fermato. Vanno cercate le giuste yard creative, vanno affinate le idee per provare a farcela da soli o trovando orizzonti comuni. Siamo liberi, in realtà. Non ci serve allinearci a un metodo. Far uscire materiale, oggi, non è mai stato così semplice.
Andando verso la fine, una domanda ormai quasi di rito: ultimamente si sta assistendo al ritorno dei rullini, delle reflex analogiche e di tutta una galassia fatta di punta&scatta, pellicole e chimiche. Cosa ne pensate di questo ritorno alle origini? E degli smartphone, a volte più tecnicamente avanzati di alcune reflex, che ne pensate?
Pensiamo che sia bellissimo. Roots and culture è uno dei nostri motti. Si torna a quel discorso della fisicità e il campo dell’analogico è una piantagione di eucalipto perfetta per noi. Il discorso smartphone ci interessa meno, ma come è bene ricordare è l’opera nella sua realtà che ne detta il senso, non tanto attraverso il mezzo con cui si realizza. Quindi non facciamo delle scelte di campo e non ci dichiariamo a priori fedeli a una tecnica. La tecnica è solo un punto di partenza.
Credo di avervi molestato abbastanza, sotto con l’ultima: cosa bolle in pentola? Avete qualche annuncio da fare? Volete mandare un messaggio a qualcuno? Sentitevi liberi…mi prendo tutta la responsabilità.
A noi piace essere molestati perché siamo anche dei pervertiti. Avete mai visto bene i koala? Sono in qualche modo sinistri… per prima cosa ci teniamo a ringraziarti tantissimo per questo spazio e per questa intervista. Poi stiamo lavorando a un autunno ricco dove usciranno tutti i progetti pensati in quarantena. Luca Mata sta per uscire, Shyla e Meuri saranno pronti per il lancio del loro libro a ottobre, Alessandra Pace sta lavorando alla sua raccolta di ambienti, una serie di volumi in stile Moriyama raccolte per macro-aree. E poi stiamo sistemando uno spazio a Milano, in via Ripamonti, dove vogliamo creare una yard creativa. Si tratta di una vecchia litostampa, con i soffitti alti e tanto spazio per accogliere laboratori di serigrafia, cultura sound system e quartier generale editoriale. Grafica, musica, foto e libri. Vogliamo essere presenti sia sul web che fisicamente in alcune librerie e punti speciali, oltre che nella nostra sede ancora in costruzione. Non andiamo con ISBN, quindi è tutto a contatto diretto. Speriamo di vederci presto di persona.
* dal momento dell’intervita a quello della pubblicazione, alcune delle uscite annunciate sono diventate effettivamente disponibili e sono disponibili sul sito di King Koala.