La storia delle città, in questo inizio di millennio più che mai, si sta del tutto scollando dalle volontà dei propri abitanti, che si trovano a sottostare a delle logiche economico-politiche sempre più aleatorie: la storia, i luoghi e l’immagine delle città vengono standardizzati e riproposti in modo quasi ossessivo – New York e’ sempre più newyorkese, cosi come Berlino berlinese, Parigi parigina… – o trapiantati come un prodotto commerciale in varie parti del mondo.
A questa diretta conseguenza della globalizzazione fanno da contrappasso alcuni sporadiche sperimentazioni urbane, di cui la città di Zurigo, e precisamente Zurigo ovest, sta diventando un simbolo, grazie ai processi di trasformazione urbana basata su principi totalmente antitetici, già presenti in tutto il background europeo, che sembrano abbiano trovato finalmente un catalizzatore. La progettazione del territorio, esercitata tramite la sensibilità e l’attenzione alle logiche umane che lo sottendono, ha da sempre decretato il successo, o meglio, il buon vivere legato alla ‘res publica‘, intesa come presenza fisica e appartenenza, sia mentale che emotiva, ad uno spazio da parte di un gruppo di esseri umani.
In questo macro schema l’architettura si configura come una sublimazione, uno Zeitgeist fisico, dove ogni architetto spera che il cittadino e l’abitante vi si riconosca, in una dialettica di affetto al luogo, o quantomento di appartenenza.
Il caso di Zurigo risulta particolarmente interessante per le dinamiche con cui questo passaggio, dal macro processo urbanistico alla progettazione architettonica, è stato affrontato, e per il ruolo attento che l’amministrazione comunale ha esercitato durante tutto l’iter.
La pianificazione territoriale è partita da lontano, nell’ormai lontanissimo 1997, dove si sono sviluppate le linee guida per una riprogettazione di un’ampia fetta della città, Zurigo ovest.
Tutto parte da una semplice parola: partecipazione.
L’amministrazione di Zurigo indette riunioni aperte a tutta la cittadinanza, da cui estrinsecare le volontà e le problematiche legate al governo e alla riconversione del territorio ovest di Zurigo.
I concetti di base scaturiti, come Utilizzo Misto, Infrastrutture, Flessibilità, Principi Economici, Sociali e Ambientali, e non ultimo Identità Cittadina, sono stati i termometri, o meglio le maniche a vento, a cui sovrapporre schemi fisici caratterizzati da concetti architettonici sviluppati a più riprese, come: Maglia ortogonale, Disturbo della Maglia, Tre Piani, Grandi Strutture, Spazi dell’Identità, Vicoli, Punti Visuali, Collegamenti fisici degli Spazi, Spazi privati Aperti, Edifici Sospesi.
La dialettica tra questi due piani, cittadinanza e amministrazione, ha messo a nudo il carattere di Zurigo Ovest, ne ha individuato le criticità e i punti di forza, e soprattutto, ha reso la cittadinanza partecipe e conscia di questo processo in divenire.L’immagine della città non è mai stata cosi definita ai propri abitanti, e su tale background ha preso piede la progettazione degli spazi fisici, su una sensibilità rinnovata verso lo spazio che circonda. Da sempre l’edificio, inteso come oggetto architettonico, scevro da questo processo appena descritto, non risulta che esteticamente interessante, mentre la qualità dello spazio che può descrivere e delimitare è di fatto un potenziale inesauribile.
A Zurigo Ovest questo e’ accaduto ad un angolo di Badenerstrasse: non a caso i suoi abitanti gli hanno dato pure un nomignolo “il Kalki”, o per esteso, il Kalkbreite.
La storia del Kalkbreite inizia molto più tardi rispetto alla pianificazione di Zurigo ovest, nel non così lontano 2006, quando un gruppo di cinquanta persone risposero all’annuncio di un giornale locale (Zuritipp) e parteciparono ad un primo workshop indetto dal costruttore Res Keller, in cui vennero sviluppati alcuni concetti base: Abitare – Lavorare – Cultura.
A seguito delle sempre più numerose e affollate riunioni rese necessarie per un Kalki ancora in fase di gestazione, si è concretizzato un bando di architettura molto dettagliato, vinto poi nel 2009 dallo studio Muller Sigrist Architekten.
In tali riunioni sono stati sviluppati scendendo sempre più di scala, quei concetti precedentemente esposti (Abitare – Lavorare – Cultura) traducendoli in una “scatola architettonica”, dove abitazioni, ambienti lavoro e associazioni culturali, socialità e spazio condiviso sono diventati elementi stessi della progettazione, al pari delle dimensioni degli ambienti e al taglio degli appartamenti.
Soffermandosi un attimo sulla tipologia degli appartamenti, si scorre una vasta possibilità aggregativa, basata sempre sull’idea di comunità: appartamenti per famiglie, appartamenti condivisi, monolocali, cohousing con spazi notte singoli, e zone comune come soggiorno e cucina per circa cinquanta persone. In tutto questo processo c’è la volontà di ribadire un punto cardine, gestire e offrire spazio alla molteplicità, anche attraverso le scelte tipologiche.
Nessun parcheggio per auto nella Hof sopraelevata interna, solo trecento posti bici e un parco verde comune e vari orti urbani sul tetto, reinterpretato come terrazza comune a tutta la popolazione Kalkbreite, mentre i primi due piani al di sotto della hof accolgono un hangar per i tram cittadini.Ad un occhio attento potrebbe sembrare una contemporanea reinterpretazione dei temi basilari dell’Unite’ di Abitation, ma l’architettura questa volta ha un ruolo servente, non centrale, in tutta la fase progettuale, e non vanta nessuna sofisticazione estetica, tanto care all’architettura contemporanea.
Non meno attenzione è stata posta ai concetti di sostenibilità ambientale, infatti tale progetto vanta il certificato Minergie P-Eco, certificato basato sul risparmio energetico e sulla qualità degli ambienti e dei materiali utilizzati all’interno del progetto, mentre tra i vari obiettivi, si e’ posto anche lo slogan di una comunità’ a 2000 watt, tramite una progettazione attenta ai risparmi energetici, al super-isolamento e all’areazione forzata.
Risulta altresì interessante analizzare le statistiche legate ai 251 abitanti di questo blocco urbano di 2500 mq in relazione alla medie nazionali.
Con circa sessanta bambini tra 0 e 9 anni, il Kalki si pone al vertici delle classifiche svizzere, mentre la maggiore fascia d’età presente risulta essere tra i 30 e i 39 anni.
La superficie pro capite è di circa 35 mq a persona, rispetto ai 41 medi pro capite di Zurigo, concretizzando l’obiettivo di considerare lo spazio comune come fondamentale in tutto lo sviluppo delle piante, estendendo questa logica sociale degli spazi anche ai monolocali, nettamente inferiori alle quantità medie nazionali, cosi come a quelli per coppie, mentre per gli appartamenti in WG (wohngemeinschaft, o appartamenti condivisi) la percentuale si alza notevolmente, passando dal 4% al 25 %, mentre la nazionalità non-svizzera passa dal 5% al 19,9 % del Kalkbreite.
Dopo tutta questa serie di dati e statistiche, che credo non abbiano bisogno di ulteriori commenti riguardo le logiche progettuali messe in atto, il dato forse più interessante da osservare è che, nelle numerose interviste rilasciate da parte degli inquilini, si ripropone sempre un minimo comune denominatore: le persone sono felici di vivere al Kalki, e si sentono parte di una comunità.
La società Kalkbreite ha inoltre vinto, nel 2013, l’appalto per la riprogettazione di uno spazio di 5000 mq in Zollstrasse, sempre a Zurigo, ma questa è un’altra storia.