Per qualche motivo ero convinto che il funerale glielo avrebbero fatto a casa, cioè a Seattle, dove io pensavo fosse casa sua, invece era a Hollywood, abitava lì. Lo hanno messo accanto a quel che resta di Johnny Ramone, l’Hollywood Forever Cemetery è ad un passo dai Paramount Studios ed è pieno di gente famosa, soprattutto attori dell’età dell’oro: ci trovi Judy Garland e Fay Wray, John Huston e Rodolfo Valentino, tanto per dire.
Ho visto le foto della cerimonia, un sacco di facce famose di cui molte del tutto impreviste per me, e altre che invece era normale ci fossero, tipo Jeff Ament e Matt Cameron e Courtney Love e Tom Morello – come sempre il più stiloso, immune ai segni del tempo, il giubbotto in pelle aperto sulla maglietta Sub Pop e la coppola, non so come faccia ma è elegante per davvero; altri musicisti che non mi aspettavo di vedere ma che ci possono stare, come Pharrell Williams e Nile Rodgers e Chester Bennington, e va bene, ma come mai c’è Brad Pitt? Christian Bale? James Franco? Poi certo, ci pensi e realizzi che se a Hollywood ci viveva è ovvio che tra gli amici c’erano quelli che vivono lì, e quindi anche attori famosi – non è strano, ma mi sembrava strano lo stesso.
C’erano anche molti altri, persone che avevo quasi rimosso dalla memoria e che senza una ragione precisa mi ha fatto piacere vedere nei ritratti, sapere che si sono presentati: Billy Idol, abbronzato e con la solita chioma biondissima; Dave Navarro, sempre più simile ad un cattivo dei fumetti; Dave Grohl, i capelli sciolti e occhiali da vista, sembra un professore del liceo.
E Kim Thayil? È uguale alle foto anni novanta, però adesso ha la giacca e la cravatta – forse solo perché è ad un funerale – e la barba e i capelli grigi sempre lunghi ma legati in una coda, il cappello e l’aspetto di un santone; una foto lo ritrae mentre parla al microfono, sembra davvero che stia conducendo la liturgia.
E Krist Novoselic? La faccia bolsa inconfondibile, al posto della chioma in disordine di quando suonava adesso c’è una favolosa pelata da impiegato o da politico, infatti un periodo si era candidato da qualche parte in America, forse l’avevano pure eletto, non ricordo. È gente di cui non senti mai parlare, giusto quando vanno ai funerali.
Nei giorni successivi alla notizia mi sono riempito la testa di articoli sull’artista scomparso e quasi tutti finivano per scivolare sul tema di quanto tempo è passato e descrivono i musicisti della Seattle che fu come eroi e rivoluzionari, ma se li guardi nelle foto l’aria da rivoluzionari non ce l’hanno per niente, non ce l’avevano neanche da giovani, a dire il vero. Io di quanto tempo è passato non ne voglio parlare e non saprei cosa dire se non delle ovvietà, e leggendo gli articoli e guardando le foto mi sono venute in mente solo due cose.
La prima è che dei Soundgarden avevo una cassetta. La cassetta originale di Down On The Upside, li ho conosciuti ascoltando l’ultimo disco, che se lo riascolti oggi dopo aver sentito gli altri è veramente strano e fuori posto; a molti fa schifo, a me piace ma forse è una questione affettiva, un legame analogico che ha poco a che fare con la musica. Anche questo sembra un discorso nostalgico su quanto tempo è passato ma la nostalgia non c’entra niente, in realtà quello che mi fa impressione è quello che è successo nel frattempo. La musicassetta la ascoltavo con un walkman costato quasi centomila lire, in una frase tre parole che in vent’anni, più che obsolete, sono diventate prive di senso, svuotate del loro significato. Non è vero che è passato tanto tempo, ne è passato pochissimo, solo che intanto ci siamo trasferiti su un altro pianeta, e infatti i musicisti invecchiati delle foto non sembrano rivoluzionari del passato, sembrano alieni, reduci di una popolazione estinta. Altri più vecchi di loro, paradossalmente, non hanno la stessa aria, gente tipo Iggy Pop o Dylan o i Rolling Stones: forse perché erano già vecchi prima, quando il mondo cambiava ancora a velocità intelligibili, abbiamo fatto in tempo a metterli nei libri di storia che ora non aggiorniamo più.
La seconda è che la foto più bella è quella in cui un cinquantenne con occhiali da sole e lunghi capelli biondi dà le spalle alla folla, confinato ad un’estremità dell’inquadratura; abito grigio e cravatta scura, lo sguardo basso e le mani infilate senza grazia nelle tasche, sembra fissare il terreno, o forse la corona di fiori che ha di fronte. Di alcuni ho dovuto leggere la didascalia per sapere chi fossero, lui l’ho riconosciuto subito, è Jerry Cantrell, anche lui come il santone Thayil è sopravvissuto al suo cantante. Forse la foto mi è piaciuta tanto perché ho sempre tifato per Jerry e tra tutti i gruppi di Seattle il mio preferito era il suo, e lui era quello più pacato e restava nell’ombra a scrivere musica grandiosa e sembrava un chitarrista metal anni ottanta ma con lo sguardo molto più intelligente, e con addosso il gilet di denim chiaro strappato alle maniche era favoloso, ma con la giacca e la cravatta e i capelli più o meno in ordine è ancora meglio, e la sua faccia di alieno triste in mezzo alla sfilata di tizi famosi e di centinaia di fan che portano fiori e foto e poesie dice tutto quello che c’è da dire.
Ho provato a riascoltare Down On The Upside dopo un casino di anni, e suona sempre strano e diverso da tutto il resto. A modo suo è ancora un gran disco, e tra i solchi c’è la voce di uno dei migliori cantanti rock di sempre, le canzoni così così diventano interessanti e quelle belle diventano fantastiche. L’ho ascoltato in mp3 perché la cassetta è da anni che non so dove sia, forse l’ho regalata, e anche se la trovassi non ho niente con cui riprodurla.