Visitare posti mai visti, spinti dalla curiosità. Nascondere qualcosa con l’intenzione che qualcuno lo ritrovi. Un nuovo appassionante hobby che, nella sua estrema semplicità, unisce gioco, cultura ed attività all’aria aperta: questo è il geocaching. Si tratta di uno dei tanti neologismi anglofoni di moderna invenzione creati appositamente per dare un nome a qualcosa che già esisteva, ma che è stato rivisitato per adattarsi ai tempi e integrarsi con le tecnologie di nuova generazione. Una caccia al tesoro su scala mondiale, basata soprattutto sull’uso del GPS, nata negli Stati Uniti nel 2000 non tanto come gioco, ma come test da parte di alcuni utenti di un gruppo di discussione su Internet che volevano verificare quanto fossero precisi i dispositivi satellitari dopo l’eliminazione, da parte del Governo americano, delle “restrizioni” imposte nei GPS ad uso civile che fino ad allora restituivano la posizione con un’imprecisione di svariate decine di metri.
“Geo” da geografia e “caching” dal francese cacher, che significa “nascondere”, ma anche con un chiaro riferimento informatico alla memoria “cache” dei computer per sottolineare la componente tecnologica del gioco. I partecipanti, detti geocacher, si registrano su una delle piattaforme online disponibili, come www.geocaching.com. I giocatori, denominati “hider” si recano in un determinato posto, scelto per bellezza, storia o motivi di altra natura e in quel luogo nascondono un contenitore, detto cache, al cui interno inseriscono un blocchetto/foglio per raccogliere le firme e magari qualche altro oggetto, se le dimensioni del contenitore lo permettono. A questo punto rilevano le coordinate precise del luogo e registrano la cache sulla piattaforma online, fornendo le coordinate e la descrizione del post affinché altri partecipanti, detti “seeker”, possano ritrovare quel contenitore attraverso l’uso di un GPS. Una volta rinvenuta la cache firmano il blocchetto (in gergo “logbook”) e provvedono a inserire online l’esito positivo della loro ricerca. In caso contrario è possibile riportare il mancato ritrovamento, magari segnalando la probabilità che il contenitore sia stato rimosso. In ogni caso, un ruolo non esclude l’altro e si può essere all’occorrenza sia “hider” che “seeker”.
La caccia al tesoro esiste da sempre, erano piene di tesori anche le tombe dei faraoni, la praticavano i pirati così come i pionieri nel West. Si andava alla ricerca di un misterioso Santo Graal ai tempi di Re Artù e famosi sono i messaggi nella bottiglia di naufraghi e marinai. Cambiano gli oggetti nascosti, si modificano i metodi per trovarli, ma la ricerca rimane una costante e il progresso ci porta ad un livello decisamente superiore che unisce allo spirito della caccia al tesoro, anche la condivisione sociale, l’utilizzo della tecnologia e la conoscenza della lingua inglese come koiné per comprendere gli indizi altrui e lasciarne di nuovi.
A qualcuno potrà sembrare insensato, infantile, persino stupido, tuttavia resta, a differenza di altri passatempi, innocuo e privo di componenti violente. Anzi, è uno sport davvero istruttivo, in grado di insegnare la condivisione e il rispetto per l’ambiente e le persone. Esistono, infatti, delle vere e proprie norme di comportamento da rispettare per non peccare di maleducazione e per rendere il gioco gradevole a tutti. Così come in ufficio postale ognuno è tenuto a rispettare in fila il proprio turno, nell’ambito di questo sport è previsto che una volta rinvenuto il contenitore nascosto, esso non venga rimosso o spostato altrove. Si può prenderne il contenuto, a patto di integrarlo con altri oggetti e aggiornare la modifica effettuata sul sito ufficiale. Per rispetto all’ambiente si invita a non scavare e a non deturpare il paesaggio per meglio mimetizzare la presenza del “tesoro” e, poiché gli oggetti nascosti sono alla portata di tutti, si invita a sceglierne di adatti anche ai bambini. Anche la scelta della location dovrebbe tener conto della sicurezza e in nessun modo creare situazioni in cui il rischio di farsi male è alto. Giusto per capirsi, è meglio nascondere qualcosa nel tronco cavo di un albero che sulla cima scoscesa di un monte.
Perché non provare? Dopo tutto, “chi cerca trova”!