Londra, estate 1967: gli esordienti Procol Harum travolgono la summer of love con il singolo A Whiter Shade of Pale, scritto dal fondatore Gary Brooker. Un successo planetario, che in poche settimane proietta la band nell’Olimpo del rock. Dopo un secondo singolo, intitolato Homburg, la band è pronta per entrare in studio a registrare il suo primo LP. Forti dissidi interni però portano all’uscita di Bobby Harrison (batteria) e Ray Royer (chitarra), sostituiti dagli ex compagni di band di Brooker nei The Paramounts.
Anche il manager Jonathan Weston ha appena lasciato i Procol Harum a causa di tensioni con Brooker. Diventa l’agente di Royer e Harrison e recluta due nuovi musicisti: l’adolescente Steve Shirley (basso, voce) e Tony Marsh (tastiere), quest’ultimo subito rimpiazzato dal talentuoso session-man Mike Lease.
La neonata band prende il nome di Freedom (dal titolo di un brano di Charles Mingus) e, mentre fa le prime prove in casa di Weston, viene ingaggiata dal produttore Dino de Laurentiis per realizzare la colonna sonora del nuovo film di Tinto Brass: nEROSubianco, cronaca lisergica di un pomeriggio londinese di una donna italiana, Barbara (la svedese Anita Sanders, ispirata e sensuale), immersa nel flusso dei propri pensieri e dei turbamenti erotici che uno sconosciuto dalla pelle nera le provoca seguendola e facendole una corte serrata. Nella locandina, le lettere EROS del titolo sono evidenziate con un rosso lascivo, a creare un gioco di parole intraducibile in inglese.
La band, forse vogliosa di rivincita dopo il doloroso divorzio dai Procol Harum, si fa trovare pronta e dà libero sfogo al proprio talento: in due mesi Harrison e compagni registrano una dozzina di brani di altissimo livello, un autentico gioiello sixties traboccante di inventiva che, riascoltato oggi, sembra aver patito pochissimo il passare del tempo. Canzoni fresche, brillanti, suonate da musicisti capacissimi.
Mike Lease, appena ventiduenne, seleziona i turnisti per le sezioni d’archi e di fiati, scrive le loro parti e ne dirige l’esecuzione. Oltre a questo, fa scintille in ogni brano con l’Hammond, strumento portante del disco (per ovvi motivi, gli echi dei Procol Harum sono insistenti). Il resto della band è più che all’altezza e rende giustizia al valore dei brani con ottime esecuzioni. Il disco, registrato ai London’s Olympic Studios, si fregia del lavoro di due ingegneri del suono di altissimo livello: Glyn Johns e Eddie Kramer (collaboratori di grandi nomi come Hendrix, Small Faces, Rolling Stones, solo per citarne alcuni). Non a caso la produzione è di qualità eccellente: il disco sfoggia un suono rotondo e sinfonico che valorizza splendidamente le virtù dei musicisti e in particolare di Lease.
I Freedom partecipano attivamente alle riprese di Nerosubianco, uno dei film più sperimentali e ambiziosi di Tinto Brass (impreziosito dalle illustrazioni di Guido Crepax). Non solo i testi ne raccontano la storia, ma la band stessa appare in numerose scene (come presenza reale o forse come fantasia della protagonista), intenta a suonare nei luoghi più disparati: in piazza, su un double-decker turistico, su un albero di Hyde Park, nella vetrina di un negozio. Come se la musica fosse non un commento “esterno”, calato dall’alto nel film, ma piuttosto parte integrante della vicenda narrata.
Il film di Brass, primo atto della carriera dei Freedom, ne rappresenta anche il momento più alto, quello in cui una band neonata e ambiziosa incontra il genio obliquo del regista veneziano. Nel film si alternano lunghi piani sequenza a montaggi frenetici, sovrapposizioni di immagini, filtri colorati, fotogrammi in negativo, continui riferimenti alla pubblicità e alla pop art. Il risultato è una regia d’avanguardia, piena di invenzioni e di cambi di prospettiva. Nelle scene in cui compaiono i Freedom sembra di vedere un videoclipante litteram, venato però dall’attitudine psichedelica tipica di quegli anni.
Sono molte le scene memorabili: su tutte spicca quella in cui la protagonista finisce in mezzo ad una manifestazione di piazza. Lo sguardo di Barbara sulla folla si mischia a sequenze di guerra e di violenza urbana, accompagnate dalla struggente You Won’t Miss che crea un contrasto fortissimo con le immagini. Il film è percorso per tutta la sua durata dal tema erotico, ma non si riduce a questo: è soprattutto un’opera dal contenuto estremamente politico, una satira allucinata contro la guerra, la mercificazione del sesso, il bigottismo, i reazionari di ogni genere.
La colonna sonora del film viene pubblicata in Italia come LP all’insaputa degli autori. Le vendite, come è facile immaginare, sono irrisorie, ma il disco si prenderà la sua rivincita nei decenni a venire, diventando un cult per gli appassionati di psichedelia di tutto il mondo.
Sempre nel 1969 i Freedom pubblicano un secondo album (in realtà, per quel che ne sanno, è il primo): Freedom at Last. Un lavoro discontinuo, virato su atmosfere hard rock e blues, nel complesso parecchio inferiore all’esordio. Tra gli episodi migliori del disco, una riuscita cover di Cry Baby Cry dei Beatles, che sarà il loro maggior successo commerciale. Con grande coraggio il gruppo si cimenta anche nella proibitiva rivisitazione di un mostro sacro come Time of the Season degli Zombies, ma il risultato non è esaltante.
L’anno successivo, durante un concerto al Bridgehouse Pub di Londra il gruppo fa la conoscenza di Patrick Meehan, manager dei Black Sabbath appena saliti alla ribalta. Grazie a questo incontro i Freedom diventano band di supporto dei quattro di Birmingham e riescono a raggiungere la sponda opposta dell’oceano: aprono alcuni concerti degli Jethro Tull e ottengono una manciata di date come headliner sulla West Coast. La lineup di questa tournée è diversa da quella dei primi due dischi: non c’è più il bassista Steve Shirley, rimpiazzato dall’ex Rust Walt Monaghan, e soprattutto se n’è andato il cofondatore Ray Royer, che abbandona definitivamente il mondo della musica a causa della sua adesione a Scientology. Lo sostituisce Roger Saunders, ex chitarrista dei Washington DC’s.
Il 1970 è anche l’anno dell’uscita del terzo disco, l’omonimo Freedom. L’album conferma le sonorità di Freedom at Last: la band ha definitivamente abbandonato le velleità art rock dell’esordio e prosegue sulla strada dell’hard progressive. L’incontro con Meehan sembra il preludio al grande salto, che invece non arriverà mai: nell’ultima fase di carriera i Freedom vengono ingaggiati dalla Vertigo Records, label di riferimento per l’hard rock del periodo, ma senza riuscire a conquistare la ribalta. Con la Vertigo pubblicano gli ultimi due album: Through the Years nel ’71 e Is More Than a Word nel ’72.
Nonostante i numerosi cambi di formazione, il suono dei Freedom ha ormai trovato una sua dimensione che resta pressoché costante sino alla fine: negli ultimi dischi le tracce tendono a dilatarsi e ad arricchirsi di elementi ricorrenti del campionario hard rock (attitudine blues, wah-wah, cori imperiosi, sezioni chitarristiche aggressive). Dei quattro album pubblicati dai Freedom dopo nEROSubianco, non ce n’è uno che si possa definire brutto o mal riuscito. Sono tutti buoni dischi, ben suonati e assolutamente godibili dagli amanti del genere: purtroppo non sono niente di più rispetto a questo, né rispetto all’esercito di band che in quel periodo proponevano la stessa formula.
Dopo la pubblicazione dell’ultimo LP e altri avvicendamenti nell’organico i Freedom si sciolgono senza gloria. I vari componenti si disperdono in altre formazioni, più o meno celebri. Bobby Harrison, unico membro fisso della band, milita per tre anni negli Snafu insieme all’ex chitarrista dei Juicy Lucy, Micky Moody; oltre a questo, pubblica un album solista (Funkist, 1975) che vanta una lista di ospiti stellare: lo stesso Micky Moody, il batterista dei Deep Purple Ian Paice, il produttore e tastierista dei Procol Harum Matthew Fisher, e soprattutto sua maestà Toni Iommi. Harrison sarà l’unico ex-Freedom ad ottenere una pur magra notorietà.
La carriera dei Freedom è divisa in due parti ben distinte tra loro: da un lato c’è un valido gruppo hard rock, capace di sfornare un disco all’anno per quattro anni nonostante i continui cambi di formazione. Una band capace e onesta, ma tutto sommato anonima; dall’altro lato invece c’è un quartetto appena formatosi, sospinto da un talento inestimabile e capace di scrivere in poche settimane uno dei dischi beat più belli di sempre. La maestosa colonna sonora di nEROSubianco è un episodio isolato, una gemma unica: lo si può ascoltare come un normale LP, e il godimento è assicurato; se però volete apprezzarlo pienamente andate a rivedere il film, uno dei frutti più gustosi della stagione avanguardista di Tinto Brass, e poi decidete in autonomia se è la musica dei Freedom a fare da commento alle visioni del regista, o viceversa.