Sabato scorso lo Spazio Alfieri ha ospitato un interessante evento culturale dedicato al mondo della fotografia. Uno degli ospiti più attesi era il direttore de La Stampa che ha colto l’occasione per presentare al pubblico il suo ultimo libro A Occhi Aperti.
Forse non tutti sapevano della grande passione del giornalista per la fotografia che apprese dallo zio materno, fotografo di professione, grazie a cui ha scoperto la camera oscura. É stato lui che gli consigliava le mostre da non perdere: “Avevo circa 20 anni quando a Londra mi recai a una mostra, mentre passavo in rassegna quelle foto sono rimasto folgorato: la curiosità di capire cosa ci fosse dietro quegli scatti. Forse in quel momento è nata anche la passione per il giornalismo che è testimonianza diretta”. Ed è stata proprio la voglia di scoprire cosa c’è dietro ogni scatto che lo ha portato a viaggiare per cercare i suoi dieci fotografi preferiti e a dedicare anni alla raccolta delle loro interviste. Nel libro Calabresi ci rivela il mistero della creazione delle fotografie più famose dei dieci grandi del mondo che hanno saputo catturare un momento storico importante in modo originale.
Così tra le storie di Steve McCurry, Don McCullin, Elliott Erwitt, Gabriele Basilico, Paolo Pellegrin e Sebastião Salgado troviamo anche quella di Paul Fusco che dal treno racconta il commiato del popolo americano con il feretro di Robert Francis Kennedy o quella di Abbas, che attraverso le sue immagini ha definito la rivoluzione iraniana che una trentina di anni dopo servirà come base per il film Argo.
All’incontro nel cinema Alfieri, Calabresi si é soffermato varie volte sulla fotografia di Alex Webb scattata sul confine tra USA e Messico nel 1979. É la prima foto che si è comprato é ed per questo che gli sta a cuore. Nella maggior parte dei casi per ottenere l’immagine perfetta bisogna saper aspettare anche vari giorni il momento, la luce giusta, l’atmosfera adeguata. In alcuni casi però, l’immagine perfetta nasce dal caso – quando “il dio della fotografia decide di farti un regalo“. Come ammette Webb, è proprio ciò che è successo quel pomeriggio in un campo di fiori gialli in cui a due messicani, forse padre e figlio, viene tolto il sogno di un futuro migliore nella tierra gringa. Sulla faccia del presunto padre si riflette benissimo la rassegnazione, come se sapesse che il destino non sarebbe stato dalla sua parte.
Se avete contato bene, manca all’appello l’ultimo fotografo di “occhi aperti”. Lui é Josef Koudelka, fotografo ceco, autore di “uno dei piú grandi reportage della storia della fotografia”: l’invasione dei soldati del Patto di Varsavia a Praga nel ‘68. All’agenzia fotografica Magnum di New York racconta come quel 21 agosto del 1968 lo ha svegliata una telefonata di un’amica nel mezzo della notte, che urlava isterica: “Sono arrivati i russi!”. Lui all’inizio non ci crede, ma quando finalmente apre la finestra, sente i rumori degli aerei militari. Così é tra i primi ad arrivare alla sede della Radio e a documentare quello che succederà nelle ore successive. “Quella mattina quando sono stato svegliato mi sono trovato davanti a qualcosa più grande di me. Era una situazione straordinaria, in cui non c’era tempo di ragionare, ma quella era la mia vita, la mia storia, il mio Paese, il mio problema.” Non voleva che le sue foto venissero pubblicate, dovevano rimanere una testimonianza privata. Ma poi, quasi per caso, sono state pubblicate a Vienna e poi negli Stati Uniti. E per 16 anni il nome del “Prague Photographer” è rimasto anonimo. Il fotografo non sopportava la paura di finire in galera per i suoi scatti che senza censura mostravano il volto vero dell’invasione: l’avversione dei cechi e slovacchi verso l’esercito, i corpi senza vita sulle strade. Le immagini mostravano tutt’altro rispetto alla storia ufficiale che voleva la Cecoslovacchia “felice” della “visita” degli amici russi. Nel 1970 lascia il paese e ottiene asilo politico a Londra. Torna a Praga solo vent’anni dopo. La collezione delle sue fotografie, chiamata appropriatamente Invasione 68, la dedicherà “Ai miei genitori che non hanno mai visto queste fotografie”.
Il libro di Calabresi é un bellissimo viaggio nella storia recente della fotografia. Dieci personaggi, dieci artisti eccezionali, dieci storie di vita forti. Ma A Occhi Aperti non é “soltanto” un libro sulla fotografia, ma detto con le parole dell’autore: “(…) sull’essenza del giornalismo: andare a vedere, capire e testimoniare. (…) Non possiamo accontentarci – per ragioni di opportunità, comodità o sicurezza – di osservare la vita dall´alto, come si farebbe con un formicaio (…). Un giornalista, e lo stesso vale per un fotografo, ha il dovere di vivere in mezzo alle formiche, di vedere il mondo dal loro punto di vista.” Sia Calabresi, sia i fotografi ai quali ha dedicato il suo libro hanno compiuto la missione.