Partecipare ad un festival che sceglie come hashtag su Twitter #bestfestivalever ti fa sentire importante e inadeguato allo stesso tempo, ma soprattutto ti toglie il sonno per tutta la settimana che precede la partenza, probabilmente perché il tuo corpo non si immagina neanche che cosa significhi farsi 12 ore filate di musica al giorno per un weekend intero.
Le stazioni metereologiche di tutta Europa prevedevano pioggia tra il 22 e il 26 di maggio, ma fortunatamente il tempo ha retto bene, nonostante il vento battesse senza tregua su Barcellona, tanto da spopolare la battuta “Invierno sound festival”.
Già all’aeroporto, come annunciava il manifesto satirico della line-up, apparso su internet un mese prima, ci aspetta una fila interminabile di “un monton de hipster de mierda”, le barbe, le pettinature assurde e i wayfarer indicano la via verso il gate, impossibile sbagliarsi.
Giunti in loco, abbiamo scoperto che, al contrario delle scorse edizioni, per cambiare il biglietto online con il braccialetto ed il badge (fondamentali per essere ammessi ai tre giorni), c’era un solo exchanging point situato proprio all’ingresso del festival. Tuttavia, l’organizzazione ha funzionato alla grande e i dieci minuti di fila all’ingresso ci sono parsi più che accettabili per un festival che quest’anno ha contato ben 170.000 presenze (circa 10.000 oltre le previsioni degli organizzatori).
Benché l’inizio del festival fosse ufficialmente fissato per giovedì, già da mercoledì hanno iniziato ad avvicendarsi grandi nomi quali Vaccines, Delorean, Veronica Falls, John Talabot e Hot Chip, dj set in chiusura.
Scelte difficili
Questo giusto per offrire un assaggio del calibro del festival, che con i suoi 95.000 metri quadri, 11 stages e 200 concerti in programma, come presagito, ci ha costretti ad una serie di ardue decisioni, lasciandoci spesso con l’amaro in bocca.
Una di queste, anzi forse la più clamorosa è stata quella che ci ha visti abbandonare i Daughter, band londinese chiacchieratissima negli ultimi mesi, il cui LP di debutto “If you leave”, uscito in marzo, ha messo d’accordo pubblico e critica per la qualità dei testi, il sentimento puro, la straordinaria voce di Elena Tonra (emozionatissima sul palco) e le atmosfere intimiste, ma anche oscure, che percorrono l’intero album. Chi storceva il naso leggendo questo piccolo grande nome nella line up, si sarà certamente ricreduto una volta in mezzo ad un pubblico numericamente superiore alle aspettative e letteralmente ipnotizzato dalle atmosfere eteree della band: una delle sorprese più belle dell’intera esperienza.
L’ipnosi è stata però interrotta dalla consapevolezza che proprio a qualche metro di distanza stava iniziando lo show di uno degli artisti più quotati del festival: James Blake. Una volta salita la scalinata che separava i due palchi ci siamo trovati di fronte ad una folla estasiata dalla perfetta interpretazione di “I never learnt to share”, uno degli anthem dell’album di debutto del musicista londinese.
Durante il live la band riesce a tradurre alla perfezione e quindi a rendere più fruibili i tempi fuori fase di cantautorato post-dubstep tipici del “principe James” da album. Gli highlights del live sono stati scanditi da una tracklist generosa, che ha regalato ai fan emozioni sincere, prima tra tutti la dedica di James a Brian Eno durante l’apertura di “Digital Lion”. Momenti di grande feedback da parte del pubblico già dalle prime note di “Retrograde”, traccia che apre “Overgrown”, e scene di delirio durante un’inaspettata “Limit to your love” (cover di Feist).
Mentre quei pochi che non avevano ancora preso posto sotto il palco dove si preparava il live dei Blur si affrettavano ad accaparrarsi delle posizioni decenti, abbiamo deciso di presenziare al live degli headliner assoluti del festival solo per pochi pezzi, nonostante figurassero in scaletta tutte le maggiori hit della loro carriera musicale, annunciate dall’acclamatissima “Girl and Boys”, dichiarazione d’intenti.
Abbandonare il main stage è stata una scelta difficile, ma necessaria per tenerci stretti i posti in transenna per il live di una delle band che ci interessava maggiormente, The Knife, rivelatosi tra l’altro uno dei più controversi, come del resto era volontà del duo di Stoccolma. Dopo un paio di pezzi (“A cherry on top”, “Raging Lung”), infatti, il palco è stato liberato per far posto ad uno spettacolo di danza in playback a metà tra mimica, danza popolare e teatro d’avanguardia. I temi politici affrontati nei testi dell’ultima fatica dei fratelli Dreijer, “Shaking the habitual”, sono stati resi alla perfezione dalla compagnia danzante, che ha rappresentato con una crudezza unica argomenti scomodi quali la corruzione, la prostituzione e gli abusi di potere sempre più comuni in una società ormai senza principi, lasciando la folla incredula e diffondendo un clima di angoscia ed insicurezza, il tutto condito con luci violacee ed esalazioni di fumo, a creare ambientazioni oscure e incorporee.
Il filtro anti-marmaglia ci ha portati ad evitare, almeno in parte, ancora uno degli headliner, i francesissimi Phoenix. Situati in una posizione che credevamo strategica per la fuga, ci siamo goduti un Thomas Mars in splendida forma, che ha regalato fin da subito i pezzoni che, diciamocelo, almeno una volta nella vita vanno sentiti dal vivo. Sin dall’apertura con la title track del nuovo album “Enterteinment”, il gruppo ha messo in evidenza la propria esperienza di live band, tenendo con grande sapienza un palco inondato di luci, sul cui sfondo imperversa la corte di Versailles, tanto per non smentire i luoghi comuni dell’orgoglio francese. Senza sosta la band ci regala due anthem del loro album capolavoro “Wolfgang Amadeus Phoenix”: “Lasso” e “Listzomania”, e mentre tutti cantano decidiamo che è il momento di goderci un assaggio dei Fuck Buttons prima di correre da una delle band più attese: gli Animal Collective.
Uscire dalla folla phoenixiana si rivela più arduo del previsto, ma la ricompensa che ci aspetta sul palco ATP, a pochi metri di distanza, ci fa tornare il sorriso: davanti ad una tavolata apparecchiata di macbook il duo di Bristol, Fuck buttons, sta per iniziare l’interminabile “Surf Solar”. L’emozione è tanta e si vorrebbe ballare un altro po’, ma la stanchezza ed il fanboy che è in noi ci dicono di abbandonare l’elettronica sperimentale di Andrew e Benjamin per andare a prendere posto al live più atteso della serata.
Solo l’allestimento del palco Primavera meritava una visita: la grande bocca del Centipede Hz che ingloba i membri della band, palesatisi solo dopo pochi minuti di attesa. Gli Animal Collective si lasciano subito andare a sperimentalismi e improvvisazioni sonore per poi riprendere la carreggiata con una sentitissima “Today’s Supernatural”, i tecnicismi e le libere interpretazioni ammaliano il pubblico, ma i toni bassi del live rendono anche i pezzi più movimentati come “My Girls” assolutamente meno godibili. Il loro live rimane comunque assolutamente all’altezza delle aspettative.
Delusioni
Da menzionare le due delusioni maggiori, che sono venute proprio da due band che eravamo molto curiosi di sentire dal vivo: Wild Nothing e Mount Eerie.
Jack Tantum, è noto per le imprecisioni nel cantato live, ma non è questo quel che ci ha fatti scappare dopo una sempre emozionante (ma mai come l’album version) “Paradise”, le atmosfere sognanti si sono infatti tramutate in atmosfere dormienti, proprio per la scarsa presenza scenica della band.
Per quanto riguarda lo show di Phil Elverum e socie, ci aspettavamo, visti i due bassi, un’interpretazione incalzante del meraviglioso “Ocean Roar”, ma la noiosissima esecuzione della title track ci ha convinti ad abbandonare lo stage prima che gli sbadigli ci rendessero odiosi al pubblico. Interessante, tra l’altro, l’interazione con il frontman che, invece di ringraziare, ci dice con gentilezza che “facciamo schifo”. Legnosi.
Non troppo emozionante neanche il live di uno dei maggiori nomi del Primavera sound 2013, The Jesus & Mary Chain, che nonostante il buon risconto per quanto riguarda l’affluenza, smisurata, di pubblico, non hanno stupito, facendo esattamente quel che ci si aspetta, senza minimamente provare ad uscire dagli schemi.
Sorprese e non
Inaspettatamente piacevoli e divertenti i Peace. I fratellini Koisser sembravano assolutamente a loro agio sullo stage Primavera, probabilmente rassicurati dalla calma che regnava, abituati a calcare i palchi inglesi, ben più movimentati.
Ineccepibili, e forse la live band che più ci è piaciuta, sicuramente la migliore sul palco RayBan, i Camera Obscura, che hanno strappato a Nick Cave il pubblico di indiepopper ansioso di sentire qualche pezzo del nuovo lavoro della band scozzese: “Desire Lines”. Esecuzioni perfette e coinvolgenti, scaletta forse un po’ scontata, ma sicuramente apprezzata (a dir poco) dai nostalgici del capolavoro “Let’s get out from this country”.
C’è che si è stupito della piega elettronica che i Liars hanno preso, poco dopo, sul palco targato Pitchfork. Con un tiro incredibile la band capitanata da Angus Andrew si è concentrata sull’esecuzione dei pezzi più sperimentali dell’ultimo “Wixiw”, training perfetto per uno degli spettacoli più emozionanti e uditivamente pericolosi dell’intero festival: My Bloody Valentine.
Sicuramente il nome che, grazie al successo del nuovo album “MBV”, uscito a ben 22 anni di distanza dalla pietra miliare “Loveless”, ha contribuito maggiormente al successo di pubblico di questo festival. Cercare di arrivare tra le prime file è sia inutile che dannoso. Gli shogazer irlandesi ci mettono giusto una traccia ad ingranare, c’è chi si lamenta dei volumi delle voci, ma è giusto così quando si parla di Kevin Shields e Bilinda Butcher, anzi forse chitarre addirittura troppo basse per poter farsi pervadere dal wall of sound tipico di questa band, che alla fine o si ama o si odia.
Le nostre line up:
Giovedì 23
Wild Nothing
Savages
Metz
Dinosaur Jr.
Deerhunter
Grizzly Bear
Phoenix
Fuck buttons
Animal Collective
Venerdì 24
Kurt Vile
Peace
Django Django
The Jesus & Mary Chain
Daughter
James Blake
Blur
The Knife
Disclosure
Sabato 25
Mount Eerie
Melody’s Echo Chamber
Mac DeMarco
Thee oh Sees
Camera Obscura
Liars
My Bloody Valentine
Hot Chip
Dj Koze