Tre case, nove ragazzi di sette Paesi collegati da un filo rosso, complessivamente accomunati dalle stesse passioni. Ancora una volta è protagonista l’underground fiorentino, che nasconde tesori che vogliono farsi trovare. Di cosa stiamo parlando? Sabato 25 e domenica 26 maggio 2013 ci si è presentato uno scenario insolito e un nuovo modo di esporre grazie allo spirito di aggregazione di una comunità di giovani artisti. Chi avrebbe detto che dietro ad un campanello si celassero gallerie d’arte!
Ogni spettatore, una volta varcata la soglia, entra nello spazio ”vitale” dell’artista, là dove il pensiero trova una tecnica, dove il sogno si trasferisce su carta e una vecchia vicina di casa diventa soggetto inconsapevole (o forse no).
Il nostro percorso è partito dalle splendide opere di quattro artisti provenienti da altrettanti paesi diversi: nella prima stanza di via Guido di Monaco le calcografie e le serigrafie di Ovidiu Batista, raffiguranti i gesti del quotidiano e gli scarti della nostra società, che mettono lo spettatore a confronto con le luci e le ombre di se stesso e della comunità.
Il nostro percorso continua in un corridoio, un tunnel di passaggio dove le illustrazioni strepitose di Bianca Tschaikener ci guidano nel mondo e nei posti che lei ha visitato e vissuto tra serenità e turbamenti: Marocco, Tunisi, Europa e Asia, dove le culture si toccano e si raccontano tramite il suo segno e le mappe da lei stessa disegnate.
Stanza che lasci paese che trovi e infatti è l’India di Samia Singh, che forte della sua esperienza come graphic designer ci mostra la bellezza delle sue incisioni e xilografie.
L’ultima stanza ci porta in Spagna con Paula Fraile e le sue “pinture”, xilografie ed illustazioni. Salta subito all’occhio il tipo di allestimento con cui presenta i suoi lavori, tutti collegati tra loro come fossero un flusso di coscienza che riesce a districarsi in una ragnatela di eventi e di trascorsi vissuti; un altalenare tra dipinti astratti dai colori forti e decisi e le xilografie più lineari e pulite. Paula ci racconta l’esigenza che ha portato la sua collettiva a ricercare questo nuovo modo di esporre in alternativa alle più note e formali esposizioni in galleria. I temi fondamentali che ricorrono sono il diretto contatto con il pubblico a fronte del problema economico che comporterebbe l’affitto di uno spazio espositivo.
In parallelo all’esposizione delle opere è prevista una performance. Il ritrovo è in Piazza S. Maria Novella, ai piedi delle scalinate della stazione; qui troviamo Elin Kawachi e Paula Fraile: una performer bianca, luminosa, che danzando entra in connessione con l’altra performer nera, ricevendo da quest’ultima tutti i colori dello spettro del visibile. Danza e pittura si fondono in una performance ludica corale ed i movimenti sotto la pioggia battente colorano il grigio pomeriggio di Firenze. Un momento quasi impercepibile e impalpabile, in cui la quotidianità viene spezzata per alcuni minuti e lascia spazio ad un’opera d’arte in movimento che si ripete fino a che il bianco viene annegato dai colori.

La seconda tappa per noi è stata la casa di via Faenza, dove ritroviamo Elin Kawachi e stavolta anche il luogo intimo per eccellenza, ovvero il gabinetto, diventato un punto di esposizione per l’artista-ballerina-performer. Quel che colpisce è la forza e la bellezza con cui riesce a trasmettere le sue emozioni e il calore del suo contatto, che stride con il cliché, ahimè troppo usato, del glaciale artista asiatico. Così come le sue incisioni anche le performance sono cariche dell’eleganza del gesto emergente dal silenzio del colore bianco e della luce che riesce ad emanare.

Continuiamo anche in questa casa con un allestimento nel corridoio e con un altro artista Lorenzo Guiliani, nato a Dublino, che ci guida in paesaggi notturni dove il blu della notte e il chiarore delle stelle incontrano il nero inchiostro di un paesaggio interiore. Sono gli intrecci dei segni che ci svelano un viaggio nell’inconscio e nel sogno portando l’indagine nella moltitudine dei linguaggi, delle nazionalità e delle diversità che contraddistinguono la sua ricerca; è uno degli aspetti di questa collettiva, che prontamente ritroviamo nell’artista Helen Lupo dal Venezuela, venuta a studiare le tecniche dell’incisione tradizionali qui a Firenze.
Nulla di tradizionale ha però la sua ricerca nel corpo e nelle emozioni dell’uomo, nelle relazioni che teniamo con gli altri e con l’ambiente onirico che ci circonda, e che a volte sembra toglierci il respiro come evidenzia l’artista in deversi lavori.


Camminiamo ora verso la tappa conclusiva, la solita procedura: ”I find you”. Saliamo in un dedalo di scale fino ai tetti di Firenze e ancora più in alto, dove troviamo Eri Mizutani e Paolo D’Antonio, rispettivamente pittrice e fumettista.
I bei lineamenti dei soggetti e i segni astratti, i colori forti, vivi e potenti degli acrilici di Mizutani trovano il loro specchio nelle tavole in bianco e nero del bravo fumettista D’Antonio. Nella stanza si crea un cerchio in cui entrambi sono dei narratori: la prima del reale, portato nei volti dei bambini giapponesi, dalle bottiglie e dagli occhi dei protagonisti di questi quadri che voglio mostrare e mostrarsi, alla riproduzione delle foglie degli alberi nella cera nera da fonderia. Il secondo, invece, del mondo dell’immaginazione e dell’avventura; sia che questa si svolga nel mare pullulante di pirati o nel grande universo, o ai piedi di un insanguinato Duomo di Firenze. Una grande tecnica infatti salta subito agli occhi dalle tavole e dai fumetti di D’Antonio, fumettista molto conosciuto nella scena contemporanea underground del fumetto italiano e del quale ammiriamo anche un ritratto portato all’interno del cerchio dalla stessa Mizutani.


Il giro è concluso ma la ricerca continua; la parola chiave di questa esperienza è SPERIMENTAZIONE. Ne emerge un interessante parallelismo tra la rappresentazione dell’arte stessa e nuovi modi di esporsi ed organizzarsi collettivamente. Una profonda ricerca personale (caratterizzante l’operato di ogni artista) accostata all’abbattimento dei limiti economici e la possibilità di avvalersi di spazi espositivi non convenzionali, oltre che al nuovo modo di aggregarsi e interagire direttamente con lo spettatore, che diventa parte del tutto. Le alternative ci sono: “WE FOUND YOU”.

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