Non di soli fotografi vive la fotografia, ma spesso è proprio l’incontro tra le persone che fa nascere o rinascere la passione per alcuni temi. Per l’intervista di oggi ho voluto rivolgere due domande ai ragazzi di analog Polimi, una realtà indirizzata verso l’analogico molto variegata. Ecco cosa ne è venuto fuori.
Iniziamo con classico approccio: chi c’è dietro analog Polimi? chi siete e perché lo fate?
Siamo Giacomo e Iacopo, due studenti di Architettura del Politecnico di Milano appassionati di fotografia analogica. Circa due anni fa abbiamo iniziato a pensare questa attività per condividere questa nostra passione e provare a diffonderla. Il progetto è collettivo (siamo circa una cinquantina di partecipanti), noi ci occupiamo di coordinare il tutto e interfacciarci col Poli per la burocrazia varia.
Dal vostro linktree, fortemente consigliato, emergono alcuni contatti a realtà milanesi (che osserviamo e che speriamo di molestare quanto prima) ed altri contatti come Magnumphotos.
La domanda però sorge spontanea: dove siete? come raggiungervi?
Siamo ovunque… sfruttiamo il Politecnico per incontrarci e fare le sessioni di sviluppo, ma siamo un po’ sparsi per tutta Milano, e non solo. Il progetto è aperto a tutti gli studenti del Poli, quindi abbiamo anche studenti Erasmus, gente che nel frattempo si è spostata in altre parti d’Italia, etc… per raggiungerci, partecipare e proporre progetti o basta scrivere alla pagina Instagram, ci trovate lì.
Qual è l’obiettivo del progetto?
Nelle linee guida del progetto vi rivolgete esplicitamente a chi già possiede una propria macchina fotografica ed è in grado di utilizzarla (senza nessun tipo di pretese, basta che siate sicuri che funzioni). Da dove deriva questa scelta?
Giacomo: L’obiettivo è permettere agli studenti di avvicinarsi al mondo della fotografia analogica. Spesso il primo passo è quello più difficile, vuoi per i costi a cui si va incontro, vuoi per difficoltà tecniche, vuoi per paura di non essere “abbastanza bravi”. Tutti ostacoli che in gruppo è facile togliere di mezzo. La scelta di aprire le porte a chiunque, anche a chi è al primo rullino, è un segnale di inclusione e di rifiuto degli stereotipi che raccontano la fotografia analogica come qualcosa di difficile, riservato a una élite. Certo, molti scatti vengono scartati, ma dopo qualche errore i risultati arrivano e questo ci dà grande soddisfazione. Poi ci sono i veterani, quelli bravi (anche più di noi), che scattano da tanti anni per conto proprio e vogliono essere parte del progetto, avere qualcuno con cui confrontarsi e condividere questa passione.
Iacopo: Quello che proponiamo non è un corso di fotografia. Mettiamo a disposizione del materiale e delle competenze, ma fondamentalmente la nostra attività si struttura come un laboratorio condiviso, di cui tutti si prendono la responsabilità e condividono reciprocamente la propria passione. Questo non toglie spazio a chi si voglia approcciare anche da neofita, tuttavia il nostro obiettivo non è quello di insegnare, ma di fornire uno spazio aperto e libero per chiunque sia interessato.
Per chi volesse avvicinarsi ma non avesse idea e mezzi: cosa consigliate? E, nel caso, perché proprio la fotografia analogica?
G: La prima cosa da fare è chiedere ai parenti se per caso qualcuno ha in soffitta una macchina che non usa. Nel 99% dei casi troverete qualcosa, garantito. Provate a esaminarla per capire come è messa prima di infilarci un rullino, può essere che abbia bisogno di un po’ di manutenzione. Se non siete sicuri datela in mano a qualcuno che ne sa o portatela in un negozio per un parere. A Milano in zona Golgi c’è Dusi e Rossi.
Se invece volete investirci dei soldi, tenete d’occhio gli annunci su subito.it e simili. Il consiglio comunque è quello di non partire subito con una macchina troppo impegnativa (e preziosa), cercate di capire se c’è feeling tra voi e la macchina, se vi sentite a vostro agio nel portarla in giro, se vi piace il peso del metallo o preferite cose più plasticose.
Se proprio non avete voglia di pensare a nulla, ci sono le point-n-shoot, completamente automatiche, compatte ed economiche, ma sicuramente non sono uno strumento “per imparare”.
I: So che ciò che sto per dire farà storcere il naso ai puristi, ma io consiglio di provare con una macchinetta usa e getta. Se il mondo della fotografia analogica ti affascina è un buon modo di iniziare, provare la sensazione di non poter visionare subito la fotografia e dell’attesa. Poi ci si può porre il problema di quale macchina fotografica acquistare o utilizzare, di quale rullino comprare, il primo passo da superare è proprio la sensazione dell’analogico, iniziare a godere dei pregi e dei difetti dell’imperfezione.
Perché avete deciso di investire sulla fotografia analogica mentre molti, forse troppi, canali decidono di investire sul digitale?
G: Ottima domanda. La verità è che siamo affascinati dalla lunghezza del processo, dall’incertezza e dall’unicità del risultato. Non siamo interessati ad immagini tecnicamente perfette, o con particolari tonalità e grana che solo l’analogica può dare. Per noi è importante il processo, il tempo tra lo scatto e l’immagine positiva. Il processo diventa pretesto per conoscersi, per esprimersi, per restituire una narrazione collettiva di chi siamo e cosa facciamo nella vita di tutti i giorni.
I: La fotografia non è l’unico campo in cui il digitale con il tempo ha soppiantato l’analogico, anche nella musica si potrebbe fare lo stesso paragone tra vinili e tracce digitali. Non esiste in realtà una scelta migliore dell’altra, è semplicemente gusto personale. Per quanto mi riguarda mi interessa il potenziale controllo totale dello scatto, questo ovviamente per mie carenze tecniche non porta sempre a buoni risultati, ma tra me e la fotografia si interpongono solo condizioni meccaniche e chimiche che posso controllare, è sempre un prodotto estremamente personale.
Dal vostro nome è palese che fate riferimento ad una realtà accademica. Secondo voi che ruolo ha l’accademia in questa scelta artistica? avete qualche appoggio dall’ente di riferimento?
Il Politecnico è innanzitutto un aggregatore di persone molto diverse tra loro. Tra i partecipanti ci sono moltissimi ingegneri, designer e qualche architetto, meno di quelli che ci aspettavamo quando abbiamo lanciato l’iniziativa. Il Politecnico non impone nessuna “direzione artistica” sul nostro lavoro, anche se negli scatti è impossibile non notare come alcuni luoghi, facendo parte della vita di tutti i giorni degli studenti, ricorrano spesso. Il Politecnico finanzia per intero l’attività, che per gli studenti è gratuita.
Analogamente, che ruolo pensate dovrebbe avere “l’accademia” nella ripresa, nello sviluppo, o nel proseguio di certe arti che ormai sembrano destinate al declino?
G: Penso che l’università debba assecondare e stimolare la creatività degli studenti, in qualsiasi modo. Una parte importante del lavoro di architetti e designer consiste nel creare e manipolare immagini, ormai esclusivamente digitali, per cui vedo la fotografia analogica anche come una valvola di sfogo che permette di ritrovare il piacere di creare immagini fuori dai meccanismi accademici “normali”, di sperimentare, di sbagliare e magari di tornare al digitale arricchiti di un’esperienza diversa.
I: In generale credo che abbia gli strumenti e anche l’interesse nel farlo. Non esistono molte altre istituzioni che possano permetterselo; l’università, e in generale il mondo accademico, ha forse anche il compito morale di aiutare queste arti e queste pratiche a continuare a vivere, di permettere la continuità nel tempo dell’utilizzo di quegli strumenti che fanno parte in senso lato dei mezzi di espressione dell’uomo. La fotografia, analogica e non, è un mezzo espressivo, un veicolo di informazioni, un’arte, che le potenzialità di questo strumento si stia perdendo non è un bene per nessuno.
Analogico o digitale? come vi approcciate ad un settore della fotografia che sta vivendo una seconda vita ma che ha sempre alle spalle l’ombra di un antagonista digitale perennemente alle costole?
G: Io sono un grande fan del digitale, anche se può sembrare strano. Dipende: nei miei viaggi mi porto dietro solo la mia piccola Sony a6000 (una mirrorless), e con lei mi sento agile e autonomo. Mi piace sapere di poter provare e riprovare senza paura di rimanere a secco, o di avere poca luce, o di non essere in condizione di smanettare. L’analogica è uno strumento diverso, che non sostituisce o compete col digitale dal mio punto di vista.
I: Abbiamo già detto che si tratta di due mondi diversi, uno non esclude l’altro. Io al di fuori dell’analogico scatto molto poco, prevalentemente con il telefono tra l’altro, non credo che tra analogico e digitale ci sia un conflitto, forse è stato così quando il digitale è nato, oggi però lo scegliere uno o l’altro è prevalentemente una scelta personale, dipende da cosa si cerca, dal perchè lo si fa.
Alla luce del recente ritorno alla ribalta dell’analogico, tra produzione e distribuzione, come vi ponete?
G: Sicuramente è un fenomeno, l’analogica ha questo fascino un po’ hipster che attira molti curiosi. Se è quello che serve per accendere la creatività di queste persone, benvenga.
Quali consigli date a chi si volesse avvicinare all’analogico? E a chi si ostina a spingere una deriva digitale sempre più presente?
G: Non abbiate paura di sbagliare o di essere banali. Provate a dare un significato a ogni scatto che fate, per quanto insignificante esso sia: una faccia interessante, una luce particolare, la vostra noia, la voglia di provare combinazioni tempo/diaframma diverse… ‘l negativo che terrete in mano alla fine sarà un pezzo di voi: le vostre imperfezioni, i vostri errori, i vostri successi. E condividete questa passione con qualcuno, perchè non sono solo immagini.
I: È un grande lavoro personale. Cercate di essere in confidenza con la macchina fotografica, tenetela a portata di mano, fate diventare lo scatto una normalità. Permettetevi di sbagliare, fatevi affascinare dall’errore, dall’imperfezione, dal dubbio, cercate la bellezza nelle cose banali.
Cosa ne pensate, citando alcuni marchi come Agfa, Ilford e i sempreverdi Lomography, della scelta di investire nell’analogico oggi giorno? Tra l’altro, con l’avanzare delle nuove tecnologie si affacciano nel campo della fotografia anche alcune realtà che solitamente si rivolgevano ad altri mondi come la stampa 3D. Quale è la vostra posizione sull’argomento?
G: Credo sia un settore in cui è difficile sopravvivere, figuriamoci investire. Sicuramente per farlo servono idee nuove, e non mi riferisco a pellicole con effetti strampalati (vendute a prezzi assurdi), ma all’enorme know-how che questi produttori hanno acquisito nel tempo e che dovrebbero trovare il modo di condividere e tramandare. Per il discorso stampa 3D, se ti riferisci a cose tipo la Diana F penso sia molto interessante e divertente a livello sperimentale, ma non penso apra a nuove possibilità (il rapporto qualità-prezzo rimane discutibile). Interessante invece l’utilizzo di stampa 3D per riprodurre parti rotte, accessori, etc… oppure gli esposimetri digitali che si montano sulla slitta del flash, ne ho visto qualcuno su Kickstarter, o ancora gli strumenti per sviluppare e scansionare in casa.
I: Il mondo delle pellicole vive di marchi storici, a parte Lomography che sta trovando molto spazio, si tratta solo di aziende ormai riconosciute nel settore e credo che sia molto difficile che avvengano grandi rivoluzioni in questo ambito. La cosa interessante è il ritorno in produzione di pellicole che per anni sono state fuori mercato, questo dimostra che comunque l’interesse si sta rinnovando e il mercato è molto vivo. In Italia sopravvivono ancora molti laboratori di fotografia, sia di vendita e manutenzione di macchine che di sviluppo di pellicole, ma anche negozi specializzati, Ars-Imago ad esempio è il grande store italo svizzero da cui noi ci riforniamo, ci trovi di tutto.
Restando in campo accademico: immagino che dal nome siate rivolti ad un campo prettamente umanistico. Credete che la fotografia sia inquadrata in alcuni schemi o possa ben declinarsi in altri ambiti accademici?
Sbagliato! Nel nostro gruppo abbiamo molti ingegneri che fanno bellissime foto. La fotografia come uno strumento che può veicolare storie ed emozioni, in qualsiasi ambito. Il nostro feed di instagram, un po’ pretenziosamente, remixa storie di persone che magari non si conoscono, oppure i cui scatti singoli rappresentano storie lontane tra loro, e li raggruppa a terne (come il feed instagram comanda) per analogie più o meno evidenti. Questa ibridazione dà vita a qualcosa di nuovo, condiviso e maggiore della somma delle parti.
Oltre alla pagina instagram, avete mai fatto uscite pubbliche? Quali pensate che siano le nuove “derive” della fotografia?
G: Abbiamo fatto qualche uscita in giro per Milano per fare street photography e avevamo una mostra in cantiere che poi si è fermata causa Covid, ci riproveremo. I momenti più divertenti a mio parere rimangono le sessioni di sviluppo, quando ci troviamo in un’aula del Poli e insieme agli studenti sviluppiamo i negativi tra acidi, brocche d’acqua e mollette attaccapanni. Si crea un clima di curiosità (molti non sanno bene cosa stanno facendo), aspettativa e sorpresa nel vedere il risultato. Riguardo alle nuove derive non vedo grandissime novità in questo momento, considero i social una continuazione del lavoro curatoriale che può richiedere organizzare un libro o una mostra quindi niente di nuovo. Cambia forse il rapporto con il pubblico, la possibilità di seguire e adattarsi ai suoi gusti e dare risposte rapide alla fame di immagini che c’è oggi, ma non è un tipo di lavoro per cui sono portato.
Analogico l’approccio, digitale la diffusione del progetto: una partenza idiosincratica per un progetto molto ambizioso. Che futuro pensate per lo sviluppo del progetto?
G: Ci piacerebbe che il progetto continuasse a vivere, che diventasse una tradizione del Politecnico come tante altre associazioni studentesche che negli anni sono diventate dei punti di riferimento. Ci piacerebbe lasciare spazio ad altri studenti con voglia di mettersi in gioco e idee nuove. Le competenze che abbiamo acquisito dal punto di vista organizzativo e burocratico saranno sempre a disposizione di chiunque sia disposto a prendersi carico del progetto. Ci abbiamo investito molto tempo e molte energie in questi mesi, sarebbe un peccato se questo progetto si perdesse. Ci piacerebbe continuare a trovare i nostri sticker in giro per la città, ci piacerebbe raggiungere più studenti e dare loro la possibilità di raccontarsi come persone creative, non come punteggi o come medie ponderate.
Ultima domanda: solitamente lascio gli intervistati con una domanda scomoda o aperta. In questo caso sarei fortemente combattuto ma opto per la seconda: avete qualcosa da dire ai futuri studenti, e non, che vogliono approcciarsi al mondo della fotografia analogica?
Sfruttate le occasioni che l’università vi offre. Gli anni di studio, per quanto faticosi, passano alla svelta: condividete le vostre passioni con altri studenti, provate a organizzarvi, a confrontarvi, a competere. Noi l’abbiamo fatto con la fotografia analogica, ma questo spirito costruttivo si può riversare in qualsiasi cosa. E se avete proposte, collaborazioni, domande, scriveteci! Abbiamo fame di idee nuove…
Gli autori degli scatti che compongono questa gallery di analog Polimi:
elenaroset (1); giacofilippo (2, 10, 11, 12); gilioliriccardo (3); sabs.odt (4); Alessandro Musolino (5); antonels.exe (6, 7, 9); aalidimago (8)