“Beautiful but Empty”, così s’intitola l’album d’esordio della band milanese Kafka On the Shore (il nome è mutuato dall’omonimo romanzo di Murakami Haruki), uscito il 18 gennaio scorso per l’etichetta indipendente La Fabbrica. Non occorre, tuttavia, addentrarsi più di tanto nell’ascolto per rendersi conto che questo primo lavoro dei KotS tutto è fuorché vuoto e che le innumerevoli e disparate influenze di cui si pasce, tanto per intenderci, vanno dagli Afghan Whigs di Greg Dulli ai Gogol Bordello, passando attraverso Tom Waits, Nirvana, Nick Cave & the Bad Seeds e l’animalesco alter ego degli stessi Grinderman, The Clash, Kings of Leon ecc., con qualche reminiscenza degli inarrivabili Pink Floyd e The Doors. Piatto ricco, direi.
Nati nel 2010 dall’incontro del pianista siciliano Vincenzo Parisi, in fuga dalla restrittiva temperie del Conservatorio, con Eliott Shmidt cantante, chitarrista e bassista di origini americane nato a Düsseldorf con un debole per il Chicago blues, il “tedesco in carne ed ossa”, batterista e percussionista dalle influenze afro Daniel Winkler ed il chitarrista Freddy Lobster, anima votata al rock’n’roll, i Kafka sono il diretto derivato dell’eterogeneità della provenienza di ogni singolo membro, sintetizzata nel sound personalissimo, ma mai uguale a se stesso di “Beautiful But Empty”. Non ci si poteva attendere altro da questa ciurma di bucanieri metropolitani – salpati tra l’altro da qualche giorno per il loro primo tour europeo – indimenticate leggende del surf, obliati protagonisti della scena rock tra i ’60 e i ’70, anime perdute che hanno viaggiato in lungo e in largo i sette mari, attingendo alla cornucopia del rock’n’roll e rivomitando un album interessante sotto moti profili (…non sono impazzita, un pizzico di follia e di propensione al nonsense sono la chiave di accesso a “Beautiful But Empty”).
Si parte col botto con “Berlin”, pezzo carichissimo che si apre nel chorus tutto in levare e nel quale se i KotS si mostrano nella loro veste più fresca e scanzonata, Eliott Schmidt coglie l’occasione per mettere subito sul tavolo buona parte delle sue numerose possibilità vocali. Un frutto succoso, che invita a proseguire un ascolto che si scoprirà riservare molte gradevoli sorprese già a partire dalla seconda traccia, “Moon Palace”, sicuramente uno dei pezzi più forti dell’album, nel quale dall’amalgama alla Afghan Whigs emergono fraseggi di chitarra e un riff che ci riportano dritti negli anni ’60.
Il viaggio nel tempo prosegue e con “Bob Dylan”, primo singolo estratto dall’album (il video è visibile sul sito di XL Repubblica Kafka On The Shore – il video di “Bob Dylan”), tra chitarre alla The Clash e una vocalità particolarmente morbida sconfessata dal bel finale incazzato, incominciamo a pensare di sapere a cosa ci troviamo davanti. Invece arriva “Bacco”, terzinato delirio dei sensi alla Gogol Bordello e siamo di nuovo in mare aperto, viaggiando a vele spiegate verso la psichedelia delle tastiere di “Lost In the Woods”, che con gli effetti e le distorsioni, di cui abbonda, prepara il terreno alle sonorità di “Venus”. Nulla si muove eppure tutto si muove in questo pezzaccio onirico: i pirati incontrano le sirene e la voce di Eliott si fonde alla perfezione con quella di Chiara Castello dei 2Pigeons.
Segue “Airport Landscape”, interessante pezzo di transizione, nel quale i quarti ossessivamente rimarcati all’inizio dal clavicembalo e un chorus che volutamente stenta a decollare creano un’atmosfera stantia, da cui ci tira fuori l’inaspettato lievitare del bridge e del finale, che ci proiettano dritti verso una sezione dell’album, in cui i Kafka On the Shore sembrano esprimere la loro più intima essenza. “Lily Allen in Green”, con quell’intrigante riff alla Tom Waits, che sfocia in atmosfere gipsy per finire in un fischiettato tra colonna sonora da film di Sergio Leone e i Peter, Bjorn & John di Young Folks, funziona alla grande. Così come “Campbell’s”, forse il pezzo più bello dell’album, nel quale una strofa incisiva, puntellata dall’ostinato della batteria e dagli accordi di pianoforte, sboccia in un chorus dove c’è tutto, melodia, tiro e quel po’ di ruzza che non guasta mai e nel quale si sentono le innumerevoli influenze dei Kafka sintetizzate in una mescola tutta loro.
Il finale, ancora una volta, spiazza con la mini-suite “Walt Disney Part 1” e “Part 2”. Nella prima l’intro ostentatamente teatrale cede presto il passo a sonorità indie-rock, alternate a più o meno velati riferimenti a The Doors, mentre nella seconda l’inizio, che per qualche aspetto può ricordare alcune atmosfere dei Pink Floyd, scivola in una sezione in cui la relazione tra le ritmiche di batteria, chitarra e tastiere crea un’aura psichedelica che perdura fino alla “non fine” del pezzo. Pirate Mexican Porn Rock, così lo chiamano i Kafka, e la cosa ci piace, soprattutto dal momento che si tratta di roba interessante.
Tracklist
01. Berlin
02. Moon Palace
03. Bob Dylan
04. Bacco
05. Lost In the Woods
06. Venus (feat. Chiara Castello)
07. Airport Landscape
08. Lily Allen In Green
09. Campbell’s
10. Walt Disney Part 1
11. Walt Disney Part 2
Per maggiori informazioni sui KotS e tutte le date del tour: http://www.wearekafkaontheshore.com/; https://www.facebook.com/kotsband