La questione riforme torna continuamente nei dibattiti politici, e la Germania rappresenta spesso un argomento di scontro e convergenze. Ma a parte la sua performance e il suo ruolo in Europa, esistono questioni effettivamente interessanti sulle quali soffermarsi e valga la pena riflettere, quantomeno per capire se esistono spunti validi come ispirazione anche per il nostro Paese.
Intanto va chiarito subito che in Europa la Germania è il paese più simile al nostro in fatto di tessuto economico e industriale, caratterizzato da una forte presenza del manifatturiero, da un ruolo determinante del sistema bancario nello sviluppo industriale, e da un ruolo chiave dell’export. Non secondario è inoltre il livello di specializzazione della sua manodopera, che risulta molto alto, fattore, quest’ultimo, che come vedremo interessa molto anche l’Italia.
Come molti ricorderanno, nei primi anni 2000 la Germania era definita come il malato d’Europa, e per un motivo molto semplice: era un modello di crescita economica senza crescita occupazionale. C’è un altro dettaglio fondamentale da aggiungere al quadro: la divisione est-ovest, che ha gravato molto sull’economia, una situazione simile a quella italiana nella sua divisione nord-sud. Dunque come ha fatto la Germania ad uscire dal pantano?
Sin dal 2000 il suo mercato del lavoro è stato oggetto di profonde riforme che hanno aumentato la flessibilità esterna e la mobilità nel settore dei servizi e per i lavoratori meno strategici. Il processo di liberalizzazione è andato avanti fino al 2006, per poi procedere in maniera più moderata fino al 2009. Successivamente si sono portate avanti politiche di controllo macroeconomico e austerità. Da questo periodo la Germania ne è uscita profondamente riformata, divenendo il paese che vediamo oggi.
Una piccola parentesi, per chi vede nel nostro sistema politico delle distorsioni: le riforme sono state attuate da coalizioni inizialmente tra socialdemocratici (Sozialdemokratische Partei Deutschlands – SPD) e verdi (Bündnis 90/Die Grünen), successivamente con la coalizione tra socialdemocratici e cristianodemocratici (Christlich Demoktratische Union – CDU) e infine con la coalizione tra cristianodemocratici e liberali (Freie Demokratische Partei -FDP).
Entrando nel dettaglio quali sono stati i modelli e i cambiamenti veri e propri?
1) Utilizzo degli strumenti di coordinamento e cooperazione a livello aziendale per ridurre costi e incrementare la produttività, aumentando la competitività delle imprese e la sicurezza dei lavoratori. Tutto ciò è stato possibile grazie alle liberalizzazioni in alcuni settori, in particolare dei servizi, che sono divenuti fondamentali per le imprese che ne usufruivano. Inoltre le grandi imprese hanno esternalizzato una serie di attività verso imprese che operano con tutele e salari più bassi, con un conseguente e ovvio crollo dei costi di produzione.
2) I grandi istituti bancari come la Deutsche Bank si sono spostati dal modello della banca commerciale a quello di investimento, disallineandosi dal sistema delle imprese. Il risultato è stata una minore complementarietà tra sistema produttivo e sistema del credito.
Una prima osservazione: costi del lavoro relativamente contenuti, competenze e professionalità avanzate nella manifattura, organizzazione delle imprese che favorisce la flessibilità e la qualità dei prodotti, hanno dato modo a questi ultimi di incontrare la domanda della classe emergente nei paesi in via di sviluppo, incrementando quindi l’export.
3) Come abbiamo detto, dagli anni ’90 in poi l’Italia e la Germania sono i paesi con il più alto tasso di lavoratori impiegati nel settore manifatturiero, la Germania ha inoltre attraversato un periodo di moderata crescita economica senza crescita occupazionale, nonostante una buona crescita del PIL e l’aumento dell’export, e una buona competitività del sistema manifatturiero. Tutto ciò era dovuto a un assetto regolativo definito come welfare without work, un mix di prepensionamenti, sussidi elevati per disoccupati di lungo periodo, poche misure per favorire la partecipazione femminile al mercato del lavoro. Nel 2001 i tassi di occupazione erano i seguenti:
Tasso di occupazione 65,3%
Tasso di occupazione femminile 57,8%
Tasso di occupazione giovanile 46,1%La risposta è stata la flessibilizzazione, cercando di intervenire in maniera selettiva su gruppi svantaggiati, favorendone l’inclusione nel mondo del lavoro: donne, giovani, disoccupati di lungo periodo. Il sistema di riforme, importantissimo, che ha avviato questa fase, è quello delle cosiddette riforme Hartz: alla base c’era la volontà di mantenere la competitività economica riducendo il costo del lavoro, introducendo contratti non standard, riorganizzando i servizi per l’impiego e i sussidi di disoccupazione, riducendo i sussidi e introducendo contratti a tempo parziale. Più nel dettaglio:
a) Riforme Hartz I, II e III (2003): liberalizzazione del lavoro a somministrazione e riorganizzazione dei servizi pubblici per l’impiego, trasformando i centri per l’impiego in vere e proprie agenzie per il lavoro (Arbeitsagenturen). Qui convergono sussidio, consulenza per la ricerca di lavoro e formazione. Vengono introdotti inoltre i “mini-jobs” (con stipendi fino a 400 euro) e i “midi-jobs” (con stipendi da 400 a 800 euro).
b) Riforme Hartz IV: riorganizzazione dei sussidi di disoccupazione, che deriva dall’unificazione di benefit per i disoccupati di lungo periodo (Arbeitslosenhilfe) e di prestazioni di assistenza sociale (Sozialhilfe), riducendo così la durata dei sussidi di disoccupazione e abbassando i sussidi di welfare sociale. Dopo un primo periodo che va dai 12 ai 18 mesi si riceve un sussidio di 350 euro, che diviene solo un contributo di assistenza sociale. I contratti di basso salario permettono di mantenere però i sussidi.
Tutto il sistema punta, dunque, a un rapido inserimento nel mondo del lavoro, sacrificando la creazione di competenze e la formazione.
4) L’altro punto fondamentale del sistema tedesco è la formazione: è caratterizzato da una forte enfasi sulla formazione di tipo professionale, alla quale contribuiscono le imprese. In questo senso fondamentale è il sistema di alternanza scuola-lavoro (Ausbildung), un programma al quale si iscrivono 2/3 di coloro che terminano la scuola dell’obbligo. Il percorso prevede un’alternanza strutturata in una parte della settimana passata in impresa e una parte in aula, in questo modo l’impresa si fa carico della parte professionale e la scuola di quella teorica. In questo modo il percorso di studi, se accademico o professionale, si struttura sin da subito, con scarse possibilità di cambiare il percorso per chi lo intraprende.
5) Ultimo punto, ma non meno importante, riguarda l’organizzazione delle imprese tedesche: esiste al loro interno una forte integrazione a livello organizzativo tra lavoratori e impresa, i manager infatti non prendono decisioni unilaterali ma devono avere l’accordo dei supervisory board, organi che includono rappresentanti dei lavoratori, i maggiori stakeholders e in alcuni casi i rappresentanti dei fornitori. Esiste inoltre un sistema di relazioni industriali altamente istituzionalizzato. Il tasso di sindacalizzazione non è mai stato troppo elevato (40%) e tende a scendere negli ultimi anni, ma come si diceva i lavoratori hanno una forte influenza a livello decisionale, attraverso le loro organizzazioni. La contrattazione collettiva avviene a livello settoriale e regionale, con il metalmeccanico che detiene una posizione altamente influente nei confronti delle altre categorie. Alle imprese è data la possibilità però di modificare clausole contrattuali rispetto agli accordi settoriali.
In conclusione: quando si parla di Germania si pensa a un modello forte, stabile e a un’economia trainante in Europa, ma questi risultati sono arrivati attraverso grandi sacrifici da parte di tutte le parti sociali. E’ evidente in questo senso una grande disponibilità da parte di sindacati, lavoratori e imprese di collaborare per obiettivi comuni, non senza sacrifici, obiezioni e alcune contraddizioni. E’ però evidente che la situazione in alcuni casi non sembra essere differente da quella italiana, e certe strade sembrano essere percorribili. Il punto è semmai trovare la via per la mediazione. Riforme come queste passano per coalizioni parlamentari, disponibilità di aziende e sindacati a trovare punti di incontro e disponibilità al sacrificio da parte dei lavoratori.
Con questa estrema sintesi è possibile avere alcuni elementi per farsi un’idea e riflettere su come la situazione potrebbe evolversi e con quali conseguenze. Il governo Renzi sembra aver accennato a questa strada, ma le riforme avrebbero dovuto arrivare almeno vent’anni fa, e prima di avere degli effetti potrebbero richiedere altrettanti anni. Ecco perché riflessioni a parte, non c’è molto tempo da perdere. In questo senso il governo Berlusconi è stato completamente fermo, e risulta essere questa una delle sue più grandi responsabilità, gli altri scandali a confronto sembrano impallidire.