Il cinema, il teatro, la musica, l’erotismo.
Ma anche il silenzio dei luoghi desolati, dello spazio e dei cimiteri monumentali.
Fontani crea, ama, critica, protesta.
Fontani cerca la bellezza, la cerca ovunque. E se non la trova, la inventa.
L’artista ci accompagna nel suo mondo; una sorta di vortice artistico piacevolmente disturbato da interferenze.
Ci racconta tutto con immagini magnetiche, gentilezza e veracità, in questa eclettica chiacchierata per Il Malpensante.
Chi è David Fontani?
Sono nato a Firenze in aprile, classe 1972. Da sempre sono affascinato ed appassionato della creatività sotto ogni sua forma e penso che gran parte del merito vada a mia madre che mi ha educato alla conoscenza e all’apprezzamento dell’arte in generale, essendo stata lei stessa una grande appassionata e collezionista. Mi ha portato con sé sin da quando ero piccolo ai più svariati concerti e spettacoli, a mostre di ogni sorta, per non parlare della miriade di film che mi ha fatto vedere. Man mano che crescevo, quelle “esplorazioni d’arte” della mia età fanciullesca sono divenute un vero e proprio amore verso il cinema, le arti figurative ed il teatro. La fotografia è entrata a far parte nella mia vita in “chiusura” del mio primo periodo creativo, iniziato da adolescente come chitarrista in alcune band fiorentine e conclusosi nel duemilauno. Presumo sia stata la morbosa passione per il cinema, per l’immagine in generale e per il fumetto d’autore a far sì che sia scintillata in me la fiamma di questa nobile arte durante la rinascita del mio Ego artistico, dopo lo scioglimento del gruppo musicale appunto, mentre ero alla ricerca di un nuovo mezzo espressivo. Da allora la fotografia è il mio perfetto strumento per creare e comunicare ed è imprescindibile dal mio essere, come una sorta di “organo vitale” senza il quale non potrei vivere. È anche una vera e propria forma di “protesta” personale contro i tanti moralismi, tabù e preconcetti verso l’erotismo, la sessualità e la libertà individuale in genere; una protesta silenziosa, quella dell’immagine, che può dire tanto ed in qualsiasi lingua ma senza bisogno delle parole. Purtroppo in questo Paese è impossibile poter vivere della propria creatività se non si dispone di ingenti risorse economiche o si sia già affermati, soprattutto se fai fotografia di nudo o di luoghi abbandonati e non esegui committenze commerciali. Svolgo quindi un “normale” lavoro che permette di mantenermi nel quotidiano e di realizzare il mio mondo fotografico quando mi è possibile.
Al centro del tuo mondo fotografico troviamo spesso soggetti femminili alle prese con la loro sensualità più sfacciata. Come nascono questi scatti? Le tue modelle ricoprono il ruolo di muse o al contrario hanno l’incarico di incarnare una tua personale esigenza artistica?
Questi scatti nascono per dar vita alla personale visione della bellezza, della forza erotica e della sensualità femminile, immagini che vogliono “parlare” direttamente allo spettatore senza filtri e censure, con uno stile onirico, schietto, puro, crudo, naturale. Amo miscelare a queste mie visioni un pizzico di ironia, una giusta dose di surreale e talvolta alcuni richiami al cinema e al fumetto d’autore. Voglio che l’osservatore oltre ad apprezzare il lato estetico ovviamente abbia la libertà di provare emozioni e suggestioni e ragionare i propri pensieri.
Prediligo le muse anche se non è mancata l’occasione ed il piacere di lavorare con modelle professioniste di assoluta bravura, serietà e dedizione alle mie esigenze professionali. Le muse amano solitamente l’arte e vogliono (e sanno) interpretare in modo spontaneo e camaleontico le richieste degli artisti e dei creativi senza rinunciare a proporre le loro idee. Non soffocano la propria istintiva espressività di mente/corpo per via dei giudizi esterni o per quella finta pudicizia inculcata da un’educazione familiare moralista o da certi preconcetti sociali dove il posare nudi è ritenuto “cosa sporca” e non “seria”. Le muse si lasciano trasportare dal progetto di loro interesse lavorando liberamente ed in sinergia con l’artista e sono ben felici di avere alla fine il risultato di come loro sono state interpretate dalla visione dell’artista stesso. Poter instaurare fiducia e complicità non può far altro che far raggiungere il risultato desiderato e l’assoluta soddisfazione. Assieme a loro ho realizzato tra i miei scatti migliori, scatti che hanno ricevuto il plauso delle muse stesse nonché gli apprezzamenti e i riconoscimenti da parte degli spettatori durante le mostre nelle gallerie e sul web in generale.
Rifuggo in assoluto le “dive”, quelle “modelle” che si credono talentuose solo per avere una certa presenza fisica ed un sito web pieno di fan adoranti (sbavanti). Lavorano spesso e volentieri solo per auto-magnificare la propria smania di protagonismo da social network nel postare foto di continuo, comprese quelle scattate col loro cellulare al display della macchina fotografica prima ancora che la foto compia il suo iter di sviluppo creativo. Litigano pure sul set perché vogliono essere ritratte prevalentemente a modo loro mentre sono quasi secondarie le esigenze del fotografo committente. Altre vogliono solo arricchire la propria collezione di “trofei” da fotografo, blasonato o meno che sia, posando in modo sempre uguale e “codificato”, con quell’ammiccante sensualità da “bambolina gonfiabile”, senza avere la minima cognizione di quello che dovrebbero maturare ed imparare per diventare modelle professioniste degne di tale nome o addirittura muse!
Ci parli di Foemina?
Foemina è nato dalle ceneri di un primo progetto di realizzazione di ritratti che mi ha permesso non solo di scattare le mie prime fotografie del genere ma anche di fare esperienza e crescere a livello tecnico ed espressivo. Col tempo ho iniziato a muovere i primi passi in un mondo più complesso di ricerca personale e parallelamente ho cominciato a nutrire un vorace interesse verso una cultura di fotografia erotica che ancora mi mancava, “leggendo” le fotografie sui libri e alle mostre dei grandi autori, tipo Newton, Mapplethorpe, García Alix, Blum, Crepax e Manara per il fumetto. La concettualità ed i contenuti di Foemina si sono evoluti via via, trasformandosi in qualcosa di completamente diverso dall’embrione iniziale, dove le pose da ritratto canonico hanno lasciato il posto alle mie personali “visioni erotiche”. Mi appunto spesso sul mio taccuino fotografico le idee affinché siano fissate nitidamente per crearle poi non appena avrò l’occasione. Penso che Foemina, grazie all’interpretazione di chi viene ritratto e all’ambientazione a sfondo urbano o in luoghi abbandonati, incarni anche un surreale contrasto tra il vivo eros femminile e la morta decadenza dell’ambiente in disuso, rompendo la monotonia delle rigorose e solide geometrie urbane con le sinuose e morbide geometrie femminili.
C’è chi ha chiamato le fotografie di questo progetto “scatti matti”, “nudi anarchici”, “erotismo onirico” o “fotografie cinematografiche”. Io non ho una definizione esatta per il mio stile ma so bene di quali ingredienti necessito. In fanciullezza sono stato spettatore e sognatore di una cultura artistica ed erotica di metà anni ’70 – primi anni ’80, nonché di quella libertà di costume che allora si percepiva dal cinema colto alla commedia sexy all’italiana, dai programmi “anarchici” delle prime telelibere ai fumetti erotici d’autore. Tutto era più sincero, sfacciato, istintivo e senza le paranoiche ed ipocrite censure di oggi. Amavo sfogliare i fumetti di Crepax o di Manara o quelli “erotico-popolari” ed ero folgorato (e lo sono tuttora) dal cinema di ogni genere e tipo: fantascientifico, giallo, horror, d’autore, orientale, espressionista, noir eccetera. Diversi lavori dal progetto Foemina sono quasi come degli “amarcord” di quel libero e visionario mondo artistico/erotico vissuto da me come stregato spettatore bambino/adolescente.
Quante figure si muovono attorno ai tuoi shooting?
Prediligo due, io e la modella, perché il lavoro ha bisogno di concentrazione e va valutato ed affinato in corso d’opera, senza interruzioni o influenze esterne; il risultato infatti è di tutt’altro tenore e pregio quando non hai “intrusi” sul set. Non ho bisogno di una truccatrice perché voglio che sia chi ritraggo a pensare al suo makeup con il suo stile ed il mood del momento. Ho collaborato in passato con fotografi verso i quali, oltre ad essere in amicizia, nutro la massima stima sotto ogni punto di vista e tornerò a collaborare (se il progetto merita) con coloro che so che posso fidarmi. Gli estranei per non annoiarsi sul set fotografico cercano di essere parte attiva, deconcentrando spesso chi sta lavorando. Per me devono essere solo dei “fantasmi” e fare da “sentinella invisibile”, avvertendo di presenze indesiderate o di situazioni anomale, quando si scatta in esterni o in luoghi abbandonati.
Tra i tuoi progetti, “2000 Light Years From Home”, non passa inosservato… Al tempo stesso siamo convinti che tu non abbia raggiunto Marte, perciò, puoi svelarci dove hai prodotto questi curiosi scatti?
Ho realizzato questi scatti durante una visita su un pianeta lontano duemila anni luce da casa, dove gigantesche macchine giacevano abbandonate da alieni navigatori nel mezzo di un rosso oceano di sale e sabbia, mentre ascoltavo l’omonimo brano dei Rolling Stones di quando cercavano di emulare l’onda psichedelica dei Pink Floyd! Per fortuna che avevo con me la mia Hasselblad altrimenti non avrei potuto portare visiva testimonianza di altri mondi agli uomini del pianeta Terra! Scherzi a parte, questa serie di fotografie è stata scattata nelle saline di Giraud, nei pressi di Arles in Francia, immaginandomi di essere appunto un visitatore su di un altro pianeta e tale era davvero la sensazione camminando tra quelle deserte lande di sale; successivamente psichedelia musicale e memorie fantascientifiche anni cinquanta e settanta tra cinema e TV hanno fatto il resto nella mia testa.
In “Arkeo” visitiamo una suggestiva selezione di luoghi abbandonati, grazie al tuo occhio attento questi ambienti riescono a parlare. La desolazione assume fascino e racconta il proprio vissuto. Cosa provi mentre ti muovi in quei posti? Ti sei mai sentito “di troppo”?
“Esplorare luoghi abbandonati; essere testimoni in un sogno silenzioso delle luci e delle ombre che altri prima di noi hanno lasciato dietro di sé per sempre. I frammenti della propria visione e temporalità eternano e tramandano queste tracce dimenticate.”
Arkeo per me rappresenta il viaggio alla scoperta delle tracce del passato nei luoghi abbandonati che voglio far rivivere cercando di imprimere in fotografia quella vita sepolta che in questi ambienti è ancora pulsante. Oggetti consumati dal tempo che raccontano dei loro proprietari, geometrie in disfacimento che sembrano contorcersi in spasmi mentre decadono, stanze mute che vogliono urlare le storie degli abitanti che lì vissero, colori surreali e odorosi che vibrano di echi e polvere dormiente che tutto ricopre; questo silenzio ha davvero una voce propria, basta saperla ascoltare! Bisogna muoversi come un’entità incorporea, fotografando come un esploratore muto che vuole solo documentare adombrate e dimenticate testimonianze per dare loro nuova voce e luce.
Non mi sento mai di troppo in questi luoghi, impotente sempre, purtroppo. Impotente perché non posso e non potrò mai fare niente affinché certi luoghi, tra i quali spiccano meraviglie per architettura e storia, possano tornare a nuova vita, venendo ripristinati e riconvertiti in strutture utili per la collettività da chi può disporre di idonei mezzi economici e/o di un certo rilievo politico.
Anche l’arte funeraria in qualche maniera riprende vita, parliamo di Ad Memoriam. Un tour cimiteriale che scaturisce emozioni, dove le lapidi monumentali vengono messe a fuoco con rispettosa discrezione. Come nascono queste passeggiate fotografiche all’interno dei cimiteri?
Ad Memoriam effettivamente è stata una “passeggiata nel passato” alla scoperta di antiche memorie umane e funerarie nel cimitero monumentale della Certosa di Bologna, che ho avuto il privilegio di poter visitare in veste di fotografo tramite una conoscenza che mi ha fatto avere il permesso in ben due occasioni. Ho cercato di immortalare l’arte, la silenziosa bellezza e le geometrie poetiche che certe antiche sepolture, lapidi, opere scultoree ed ambienti manifestano, cercando di trasmettere anche quel pathos emotivo provato durante questa suggestiva passeggiata, che è stata fatta tra l’altro in due distinte giornate di anni diversi ma è come se si fosse svolta nello stesso arco temporale.
Ci spostiamo su Interzone, silenzioso e descrittivo. Ci puoi condurre in questo viaggio?
Interzone è la testimonianza fotografica di un “viaggiatore nel tempo” che ritrae attimi di vita sospesa, dove le azioni umane sono avvenute un instante prima o avverranno immediatamente un istante dopo lo scatto. Interzone è la “vita silenziosa” che ci racconta l’uomo, l’ambiente che abita e il suo operato attraverso la sua stessa assenza.”
Interzone nasce nel 2010 dall’ispirazione dalla musica dei Joy Division, di cui amo particolarmente le atmosfere decadenti e quel permanente stato di sospensione onirica, e dal desiderio di cominciare ad utilizzare esclusivamente per queste nuove fotografie la mia prima Hasselblad comprata in marzo. Il nome Interzone proviene dall’omonima canzone del gruppo e calza perfettamente per il progetto, nel quale come un viaggiatore del tempo registro immagini di una “interzona” senza visibili azioni in corso, prima che l’uomo sia presente o dopo la sua presenza, mostrando un mondo silenzioso, una vita sospesa ed immobile del quotidiano che tanto ha da raccontare su di noi ma senza necessità della presenza umana stessa.
Il tuo repertorio è variegato ma se ti obbligassimo a proseguire la tua carriera fotografica concentrandoti su un unico tema, cosa sceglieresti?
Credo che sceglierei il tema del nudo prevalentemente per due ragioni; la prima è che le mie fotografie si avvarrebbero dell’interpretazione e della carica emotiva ed erotica di chi ritraggo e sarei quindi sempre in continuo “refresh” di idee lavorando con le altre persone e soprattutto non rischierei di “alienarmi” standomene solo per ore a fotografare dentro ad un luogo abbandonato (per quanto quella solitudine e quel silenzio non abbiano prezzo!). La seconda ragione è che potrei comunque continuare a far vivere Arkeo ed Interzone tra uno scatto di nudo e l’altro durante il medesimo set, visto che spesso i progetti coincidono per ambienti e location.
Nel tuo curriculum troviamo alcune collaborazioni con altri fotografi, come si sono sviluppati questi progetti? Credi che il confronto con altri professionisti possa averti arricchito a livello artistico?
Queste collaborazioni nascono in primis da legami affettivi o da profonda amicizia con alcuni fotografi per cui è sempre stato per me consequenziale improntare questo o quel progetto assieme, un po’ come gestire un’attività a “conduzione familiare”. In altre occasioni sono stato contattato per un determinato lavoro “corale” oppure semplicemente tutto è avvenuto per casualità d’incontri. Stare con altri professionisti, dallo shooting alla collettiva fotografica, mi ha sempre arricchito e stimolato nelle idee e nella creatività e credo che la condivisione in generale tra individui sia importante e preziosa perché può solo accrescere quel “bagaglio” emotivo e professionale che porteremo con noi durante il “viaggio” della vita.
Se tu potessi scegliere un disco per associarlo alla tua iridescente attività fotografica, quale sarebbe?
Domanda molto difficile a cui rispondere, visto che adoro così tanti gruppi e tanti dischi che sceglierne un solo mi sembra praticamente impossibile! Vediamo, probabilmente sceglierei l’opera de Le Nozze di Figaro di Mozart perché credo che la musica e gli intrecci umani di questo capolavoro possano rappresentare quella summa di passione, ironia, eros, insolenza, sfacciataggine, silenzio, tormento, sensualità, e colore e libertà che la mia fotografia vuole esprimere nei vari progetti che ho realizzato finora.
Per saperne di più visita il sito internet e la pagina Tumblr del fotografo.